Låt den rätte komma in (Lasciami entrare, 2008) di Tomas Alfredson. Altra interpretazione del sotto-genere vampiresco che andava così di moda dieci e più anni fa. Non privo di originalità nel mantenere una lettura per molti versi rigorosamente tradizionale pur calandola efficacemente in un contesto moderno, non è però un tema che mi interessa molto, e qui non ho trovato particolari ragioni per cambiare idea. Regia pulitissima anche se alcune di scene (su tutte, quella dei gatti) cadono platealmente nell'involontariamente comico.
The Texas chain saw massacre (1974) di Tobe Hooper. Praticamente un greatest hits delle migliori idee dell'orrore moderno. Limitato da un cast di protagonisti rasoterra, sublimato da idee visive di improvvisa e terrificante bellezza. Inaspettatamente brillante nell'introdurre organicamente i riuscitissimi elementi comici, nel gestire il non detto, nel dare a ciascuna idea lo spazio giusto per lasciare il segno senza però lasciarsi razionalizzare più del dovuto. Al di là di tutto, anche la sola quantità e qualità di idee malatissime, ispirate dall'indicibile storia di Ed Gein ma poi liberamente rilette, riorganizzate e arricchite, ha del miracoloso e non riesco a non amare. Nella sua imperfezione, indubitabilmente uno dei massimi capolavori del genere.
Lilya 4-ever (2002) di Lukas Moodysson. Amarissimo scorcio su una (di tante) vite senza prospettive, abbandonate e indifese di fronte all'indifferenza e alla crudeltà di un contesto sociale irredimibilmente degradato e corrotto. Diretto con uno stile controllato ma naturalistico, rende giustizia al proprio materiale senza scadere nel feticismo della miseria. Un po' kitsch l'ultimissima scena, ma glielo si perdona. La dedica finale colpisce, forte.
Andrei Rublev (1966) di Andrei Tarkovskij. Tarkovskij è come sempre tecnicamente indiscutibile e ho trovato alcuni episodi particolarmente suggestivi (il festival pagano, la campana) ma il mio scarso interesse nelle vicende dei personaggi principali ha giustificato a fatica le quasi tre ore richieste dal film.
Mirai shōnen Konan (Conan il ragazzo del futuro,1978) di Hayao Miyazaki. Semplice nel miglior senso possibile, un'avventura il 26 capitoli che brilla per il candore della scrittura, il ritmo infallibile della narrazione, la leggerezza ed efficacia dell'animazione, il senso dello spazio e del movimento che impartisce ai propri personaggi, alla scoperta del nuovo mondo in cui dovranno imparare a vivere e convivere. Già pregno di tutte le tematiche più care e più sofferte da Miyazaki, dimostra un talento già inequivocabile.
Free solo (2018) di Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin. Documentario ben realizzato forte di un soggetto (e di un'impresa) che sfiora l'incredibile. Dà le vertigini ed è probabilmente uno dei complimenti migliori che gli si possano fare.
Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli. Sfrutta schemi e ambienti non insoliti nel cinema d'autore italiano degli anni Sessanta e Settanta, ma l'esecuzione è brillante e arrivato al finale mi sono scoperto più colpito di quanto mi sarei aspettato. Bellissimo.
La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini. Non privo di meriti ma ho trovato la sceneggiatura, i personaggi e lo stile registico generale molto stancanti sulla lunga durata. Sicuramente in parte si tratta di una scelta intenzionale, ma personalmente non l'ho trovato sufficientemente interessante. Certo non capita tutti i giorni di vedere un film con Alain Delon in cui Alain Delon non è la persona più bella in scena.
Sedotta e abbandonata (1964) di Pietro Germi. Esilarante contrappunto all'altro capolavoro di Germi, Divorzio all'italiana (al punto che il titolo del film di De Sica dello stesso anno suona quasi come una specie di furto), è una tragicommedia per lunghi tratti irresistibile che pecca forse soltanto in un atto finale un po' troppo protratto. Esecuzione eccellente in ogni aspetto, a partire ovviamente dalla scrittura ma anche nelle interpretazioni, nella fotografia, nelle scelte di montaggio. Strapieno di idee e a tratti sinceramente sorprendente, i decenni non ne hanno minimamente scalfito la brillantezza comica e registica. Fantastico.