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Premessa: Io sono un animatore freelance e pandemia/lockdown/coprifuoco non mi toccano direttamente. Ci sono delle difficoltà nel lavorare ma in qualche modo si fa e il work from home funziona nonostante qualche problema tecnico.
Mio padre invece è un rappresentante libero professionista che lavora nella fornitura per la ristorazione in una piccola azienda che copre una buona porzione della provincia di Firenze. Parliamo di una vita intera di sacrifici e durissimo lavoro a pochi anni dalla pensione, costruito dal niente e con anni passati a creare rapporti di fiducia. Tutto andato, fra attività che hanno deciso di non riaprire mai più e un triste ridimensionamento di un'azienda che vive mese per mese. Quel poco lavoro che si era ricostruito durante i mesi di tregua spazzato via ieri.
Ciò che si respira in giro, almeno nella mia regione, è solo disperazione, sfiducia e rabbia. È vero che c'è chi delle regole in questi mesi se ne è infischiato, ma si tratta di una piccola minoranza di locali nel mare di attività che hanno passato questi mesi a mettersi in regola e ad educare la propria clientela al rispetto delle norme sanitarie investendo tempo e i pochi soldi rimasti dallo scorso lockdown.
Molti non chiedono di avere carta bianca o di fare ciò che vogliono, chiedono di poter lavorare con dignità nel rispetto di regole anche stringenti, come quelle del precedente DPCM. Ma lavorare.
Un altro lockdown lungo mesi, perché il 24 novembre con queste misure mirate a settori che già contribuivano poco e niente al contagio non sarà cambiato un bel niente, è la pietra tombale per gran parte dei settori che sono stati, nuovamente, chiusi dopo aver già fatto debiti che passeranno il resto della vita a ripagare. Questi non sono piccoli sacrifici.
Il mio è un piccolo sacrificio, quello di rinunciare a qualche lavoro e di lavorare più lentamente a quelli in corso. Non quello che stanno chiedendo con questo folle DPCM.
Bon, questa è solo una delle migliaia di testimonianze che si possono trovare in giro e non avendo la minima voglia di discutere non commenterò oltre.
Mio padre invece è un rappresentante libero professionista che lavora nella fornitura per la ristorazione in una piccola azienda che copre una buona porzione della provincia di Firenze. Parliamo di una vita intera di sacrifici e durissimo lavoro a pochi anni dalla pensione, costruito dal niente e con anni passati a creare rapporti di fiducia. Tutto andato, fra attività che hanno deciso di non riaprire mai più e un triste ridimensionamento di un'azienda che vive mese per mese. Quel poco lavoro che si era ricostruito durante i mesi di tregua spazzato via ieri.
Ciò che si respira in giro, almeno nella mia regione, è solo disperazione, sfiducia e rabbia. È vero che c'è chi delle regole in questi mesi se ne è infischiato, ma si tratta di una piccola minoranza di locali nel mare di attività che hanno passato questi mesi a mettersi in regola e ad educare la propria clientela al rispetto delle norme sanitarie investendo tempo e i pochi soldi rimasti dallo scorso lockdown.
Molti non chiedono di avere carta bianca o di fare ciò che vogliono, chiedono di poter lavorare con dignità nel rispetto di regole anche stringenti, come quelle del precedente DPCM. Ma lavorare.
Un altro lockdown lungo mesi, perché il 24 novembre con queste misure mirate a settori che già contribuivano poco e niente al contagio non sarà cambiato un bel niente, è la pietra tombale per gran parte dei settori che sono stati, nuovamente, chiusi dopo aver già fatto debiti che passeranno il resto della vita a ripagare. Questi non sono piccoli sacrifici.
Il mio è un piccolo sacrificio, quello di rinunciare a qualche lavoro e di lavorare più lentamente a quelli in corso. Non quello che stanno chiedendo con questo folle DPCM.
Bon, questa è solo una delle migliaia di testimonianze che si possono trovare in giro e non avendo la minima voglia di discutere non commenterò oltre.