Fusenr
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Questa riflessione si è affacciata alla mia mente leggendo alcuni interventi in questo topic:
Open world e GDR moderni: tra 10 metri svoltare a destra e avrai raggiunto il tuo tesoro perduto
Nello specifico, più o meno parafrasando…
True Erik ha scritto:
“Nel momento in cui tutta la struttura ludica potrebbe essere tranquillamente tagliata fuori dal prodotto, significa che come videogame hai fallito (riferito a Soul Reaver 2)”
Io ho scritto:
“In tal caso, prima di saltare a conclusioni affrettate, bisognerebbe definire meglio il perimetro di questa cosiddetta struttura ludica”
Sorathil ha scritto:
"L'epilogo a finali multipli di TW3 racconta a video, con le sue scene, ciò che sono i risultati delle nostre azioni”
Alvise44 ha scritto:
“TW3 offre un sistema di scelte ai dialoghi, talmente curati che ogni opzione di dialogo, dopo che l'hai selezionata, sembra "quella giusta", quella che avrebbe detto Gerry”
E li ringrazio per essermi stati di ispirazione.
Come da titolo, lo scopo della riflessione è domandarsi se le classiche cutscenes non interattive (in-game, in-engine o prerenderizzate [CG]) interagiscono col giocatore alla stessa identica maniera in cui lo farebbe un flusso di immagini cinematografico fruito da uno spettatore in una sala con proiettore o in home video, oppure se la differenza di contesto, cioè il fatto di inserirsi, come intervalli più o meno frequenti, all’interno di un impianto interattivo in media immensamente più complesso e qualitativamente avulso rispetto a quello concesso dalla pressione dei tasti (stop, pausa, play, rewind, fast forward) del telecomando del lettore blu-ray durante la visione di un film, conferisca loro, pur operando asincronicamente rispetto alle fasi di gameplay propriamente detto, un significato, un valore, un impatto tutto loro che è anch’esso, in realtà, sebbene sia più difficile dimostrarlo e per via indiretta, prerogativa del videogioco.
Cosa succede (anche sul piano dell’interazione parasociale applicata al medium) quando molliamo la presa su mouse e tastiera o sul pad per assistere ad una cutscene dopo aver portato/spinto il nostro avatar (stupendamente scritto o guscio vuoto/da riempire completamente con la nostra immaginazione ruolistica) fino a quel traguardo cinematografico che, a prescindere dalla linearità della trama o dalla presenza di bivi narrativi, è comunque il risultato delle nostre azioni, di un’attività manuale e di un’attività neurale le quali, considerate sia come coppia coordinata sia in funzione autonoma, si discostano da ciò che prevede la visione, in questo senso, non interattiva di un’opera esclusivamente audiovisiva lungo tutta la sua durata, ininterrottamente dai titoli di testa ai titoli di coda? La scena produce lo stesso effetto che avrebbe avuto se ci fossimo arrivati guardando un “all cutscenes movie” qualsiasi pubblicato su youtube dall’inizio alla fine? Oppure vedere Cloud e party, Geralt, Kiryu, Solid Snake, Sam Porter Bridges, Joel, Ellie improvvisamente animati da una regia che ci solleva temporaneamente dalla responsabilità derivante dal loro pieno, concreto controllo non rappresenta tuttavia uno strappo sufficientemente drastico e forte, data la maggior quantità di energia richiesta per vincere l’attrito delle acque in cui è immerso il videogioco, da riuscire a sciogliere o spezzare totalmente quello “strand”, quel filo, quell’appendice che si era venuta a creare grazie al legame fondato sul e intorno al gameplay? Mi domando: è possibile che questa appendice abbia quindi il potere di bucare lo sbarramento formale tra la fase di gameplay e la cutscene andando ad innervare lo spazio della seconda (la cutscene) con un’eredità proveniente dalla prima (la fase di gameplay) che finisce per “contagiarlo” con un “residuo” (una traccia) della relazione instaurata durante la fase di gameplay che nella nuova circostanza diventa meno facilmente scrutabile, decifrabile e intellegibile, ma rimane comunque esistente? Voi cosa provate, che sensazioni avete?
Se ciò fosse vero, dovremmo dedurne che i confini di quella che chiamiamo “struttura ludica”, atta ad inquadrare e circoscrivere tutto ciò che è interattivo in un videogioco e nient’altro, diventando più labili, più sfumati, si estenderebbero, in un certo qual modo, anche ad esse? O è un modo di intendere l'interattività in un "senso troppo lato/debole"?
Che ne pensate? Spero di non aver articolato il discorso in maniera troppo fumosa, ma non è una cosa che ho trovato facile da spiegare, motivo per cui per il momento lascio la parola al primo che passa e vuole dire la sua.
Open world e GDR moderni: tra 10 metri svoltare a destra e avrai raggiunto il tuo tesoro perduto
Nello specifico, più o meno parafrasando…
True Erik ha scritto:
“Nel momento in cui tutta la struttura ludica potrebbe essere tranquillamente tagliata fuori dal prodotto, significa che come videogame hai fallito (riferito a Soul Reaver 2)”
Io ho scritto:
“In tal caso, prima di saltare a conclusioni affrettate, bisognerebbe definire meglio il perimetro di questa cosiddetta struttura ludica”
Sorathil ha scritto:
"L'epilogo a finali multipli di TW3 racconta a video, con le sue scene, ciò che sono i risultati delle nostre azioni”
Alvise44 ha scritto:
“TW3 offre un sistema di scelte ai dialoghi, talmente curati che ogni opzione di dialogo, dopo che l'hai selezionata, sembra "quella giusta", quella che avrebbe detto Gerry”
E li ringrazio per essermi stati di ispirazione.
Come da titolo, lo scopo della riflessione è domandarsi se le classiche cutscenes non interattive (in-game, in-engine o prerenderizzate [CG]) interagiscono col giocatore alla stessa identica maniera in cui lo farebbe un flusso di immagini cinematografico fruito da uno spettatore in una sala con proiettore o in home video, oppure se la differenza di contesto, cioè il fatto di inserirsi, come intervalli più o meno frequenti, all’interno di un impianto interattivo in media immensamente più complesso e qualitativamente avulso rispetto a quello concesso dalla pressione dei tasti (stop, pausa, play, rewind, fast forward) del telecomando del lettore blu-ray durante la visione di un film, conferisca loro, pur operando asincronicamente rispetto alle fasi di gameplay propriamente detto, un significato, un valore, un impatto tutto loro che è anch’esso, in realtà, sebbene sia più difficile dimostrarlo e per via indiretta, prerogativa del videogioco.
Cosa succede (anche sul piano dell’interazione parasociale applicata al medium) quando molliamo la presa su mouse e tastiera o sul pad per assistere ad una cutscene dopo aver portato/spinto il nostro avatar (stupendamente scritto o guscio vuoto/da riempire completamente con la nostra immaginazione ruolistica) fino a quel traguardo cinematografico che, a prescindere dalla linearità della trama o dalla presenza di bivi narrativi, è comunque il risultato delle nostre azioni, di un’attività manuale e di un’attività neurale le quali, considerate sia come coppia coordinata sia in funzione autonoma, si discostano da ciò che prevede la visione, in questo senso, non interattiva di un’opera esclusivamente audiovisiva lungo tutta la sua durata, ininterrottamente dai titoli di testa ai titoli di coda? La scena produce lo stesso effetto che avrebbe avuto se ci fossimo arrivati guardando un “all cutscenes movie” qualsiasi pubblicato su youtube dall’inizio alla fine? Oppure vedere Cloud e party, Geralt, Kiryu, Solid Snake, Sam Porter Bridges, Joel, Ellie improvvisamente animati da una regia che ci solleva temporaneamente dalla responsabilità derivante dal loro pieno, concreto controllo non rappresenta tuttavia uno strappo sufficientemente drastico e forte, data la maggior quantità di energia richiesta per vincere l’attrito delle acque in cui è immerso il videogioco, da riuscire a sciogliere o spezzare totalmente quello “strand”, quel filo, quell’appendice che si era venuta a creare grazie al legame fondato sul e intorno al gameplay? Mi domando: è possibile che questa appendice abbia quindi il potere di bucare lo sbarramento formale tra la fase di gameplay e la cutscene andando ad innervare lo spazio della seconda (la cutscene) con un’eredità proveniente dalla prima (la fase di gameplay) che finisce per “contagiarlo” con un “residuo” (una traccia) della relazione instaurata durante la fase di gameplay che nella nuova circostanza diventa meno facilmente scrutabile, decifrabile e intellegibile, ma rimane comunque esistente? Voi cosa provate, che sensazioni avete?
Se ciò fosse vero, dovremmo dedurne che i confini di quella che chiamiamo “struttura ludica”, atta ad inquadrare e circoscrivere tutto ciò che è interattivo in un videogioco e nient’altro, diventando più labili, più sfumati, si estenderebbero, in un certo qual modo, anche ad esse? O è un modo di intendere l'interattività in un "senso troppo lato/debole"?
Che ne pensate? Spero di non aver articolato il discorso in maniera troppo fumosa, ma non è una cosa che ho trovato facile da spiegare, motivo per cui per il momento lascio la parola al primo che passa e vuole dire la sua.
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