Come fossero ciliegie, nel giro di pochi minuti ieri sera prima si è saputo che dal City allo United i club inglesi stavano preparando la Brexit dalla Superlega. Intanto in Spagna il presidente del Barcellona Laporta demandava la decisione ai soci, mentre l’Atletico vacillava. La diga è apparsa di cartone, un tragico Vajont politico-sportivo, interrotto dalla scelta di una riunione di urgenza per cercare di arginare la figuraccia planetaria. Tutto inutile. E in nottata sono arrivate anche le scuse di alcuni club, come l'Arsenal: "Abbiamo sbagliato, ci dispiace". Nell’era della tecnologia esasperata però i social non hanno perdonano: “Da Superlega a Superfuga”. “La Superlega è diventato un quadrangolare”. “Il progetto è durato come un gatto in tangenziale”. Nelle ultime 24 ore, oltre alle minacce delle istituzioni, erano partiti anche gli ambasciatori dell’Uefa per convincere i club ribelli a ripensarci. Tutti tranne uno: la Juventus di Agnelli. Con lui non deve trattare nessuno, ordine di Ceferin. Dopo avergli dato pubblicamente del bugiardo e del serpente, ora il numero uno dell’Uefa cova vendetta e vuole la sua testa. E qui entriamo nel capitolo che riguarda i club italiani. Gli unici a resistere ieri. Ma forse sarebbe meglio dire ad aspettare gli eventi e le ufficialità altrui. Perché nella resistenza c’è una forma di coraggio e di difesa delle proprie posizioni, che non abbiamo mai percepito soprattutto nei due silenti club milanesi, poco incalzati anche dalle rispettive tifoserie. Se, come tutto lascia prevedere, già domani ci sarà il rompete le righe, quella di Agnelli sarà una debacle clamorosa. È passato in pochi battiti di ciglia da uomo forte a livello europeo, gonfio della tirannia di nove scudetti consecutivi della Juve e del suo ruolo di presidente Eca, a dirigente inviso a quel potere che aveva abbracciato fino a tre giorni fa, prima del grande tradimento. Tra accuse che gli sono state rivolte in Uefa e quelle ricevute in Lega per la gestione della trattativa poi fatta naufragare con i fondi, ce ne sarebbe abbastanza per farsi da parte. Come ripresentarsi nel consesso europeo, senza danneggiare la Juve, con la propria immagine screditata? Già ieri circolavano voci, poi smentite, di sue imminenti dimissioni.
Difficile immaginare uno tsunami simile in casa bianconera a poche giornate dalla fine del campionato, con la zona Champions da conquistare. Dalla Superlega all’Europa League, sarebbe un colpo inimmaginabile per il già critico bilancio del club. Se il futuro dell’era Andrea Agnelli appare appeso a un filo, la figura di Inter e Milan, sempre in seconda fila senza esporsi, non è stata certo da top club. Le scelte finali di aderire alla Superlega debbono necessariamente essere addebitate alle due proprietà: Suning ed Elliott. A rappresentare le società c’erano i dirigenti nerazzurri Marotta, Antonello e Cappellini, che hanno certo influenzato la decisione del giovane e ancora inesperto Zhang, e quelli rossoneri il potente Gazidis e Scaroni. La loro posizione è ovviamente molto diversa da quella di Agnelli, ma anche nel caso di Marotta e Scaroni risulta difficile immaginare come possano ancora mantenere i loro posti nel consiglio federale e in quello di Lega.