Ci sono poche software house che possono vantare il pedigree di Naughty Dog.
I talentuosi ragazzi californiani negli anni hanno sfornato numerosi titoli di valore, debuttando su console Sony nel lontano 1996 con un platform decisamente interessante, il cui protagonista diventò ben presto un’icona della leggendaria PS1. Con la saga di Crash Bandicoot si avventurarono anche nel genere racing, in particolare quello delle corse su Go Kart, ottenendo risultati sorprendenti.
Ci riprovarono su PS2, con il simpaticissimo duo Jak & Daxter, dove dimostrarono, tra le altre cose, di saper spaziare tra diversi generi con grande naturalezza.
La definitiva consacrazione arrivò su PS3, dove la trilogia di Uncharted riscosse un enorme successo di critica e pubblico e, con il secondo capitolo, segnò a modo suo una generazione.
Nel 2011, quando fu annunciato The Last Of Us, molti rimasero sorpresi dalla decisione Naughty Dog di violare quella regola non scritta che li voleva al lavoro solamente su un brand per ogni console Sony.
La naturale conseguenza fu un’attesa spasmodica per quello indicato da molti, a braccetto con GTA V, come il canto del cigno di una generazione ormai agli sgoccioli.
Acclamato dalla critica mondiale, bramato da milioni di gamers, The Last Of Us nel giugno 2013 è finalmente arrivato nei negozi.
Sarà riuscito a sostenere il peso di aspettative così imponenti?
Partiamo da un presupposto: The Last Of Us non è un prodotto perfetto, sempre ammesso che questa fantomatica perfezione esista. E non è neanche la rivoluzione, per altro mai promessa, del media video ludico.
Non è neppure un punto di arrivo per Naughty Dog, una software house sempre pronta a cambiar pelle, a rimettersi in gioco e a migliorarsi ad ogni apparizione.
Ma è un gioco, a suo modo, unico… e dannatamente grandioso: proprio come quelli che si vedono una volta ogni tot anni.
Il viaggio
Fin dai primi istanti di gioco, The Last Of Us mette sul piatto una narrativa di grande spessore, trascinando il giocatore dentro ad essa e facendolo partecipare attivamente a ciò che accade sullo schermo.
L’impatto è a tratti spiazzante: la frenesia della prima mezzora è accompagnata da momenti di forte tensione e riesce a catturare l’attenzione del fruitore con una semplicità incredibile.
Il risultato è un prologo praticamente perfetto, con tagli registici mozzafiato e un’attenzione certosina nel far trasparire le emozioni dei protagonisti.
La bravura registica dimostrata da Naughty Dog, lo splendido lavoro di motion capture e dei dialoghi dal forte impatto sono una costante per tutto l’arco del viaggio, e vanno a toccare nuove vette per quanto riguarda il media ludico.
Sì, perché The Last Of Us è un vero e proprio viaggio attraverso un’America devastata da un’infezione causata da un fungo: il Cordyceps.
Quest’infezione si propaga per via aerea e va ad infettare il cervello dell’ospite, modificandone i comportamenti e trasformandolo gradualmente in una delle tante mostruosità che incontreremo nel corso dell’avventura.
Un’avventura che si dipana nell’arco di un interno anno e che ci porterà a visitare città fantasma, edifici in rovina e ad incontrare personaggi dalle dubbie regole morali.
Nessuna cura, nessuna speranza, solo la necessità di sopravvivere con le ultime forze in un mondo dove vige la legge del più forte.
Un mondo dove non esistono solo il bianco e il nero, ma forti tonalità di grigio.
La narrativa pone l’accento sul controverso rapporto tra Joel, un uomo dal passato impregnato di dolore e con un presente da violento contrabbandiere, ed Ellie, una ragazzina nata dopo lo scoppio dell’epidemia, che poco sa di ciò che era il mondo prima della catastrofe.
Noi impersoneremo il primo, e, a causa di uno scambio di favori, avremo l’arduo compito di scortare la ragazza fuori dalla zona di quarantena.
L’illusione di trovarsi davanti ad una classica storia post-apocalittica costellata da zombie dura pochi istanti, perché The Last Of Us in realtà non è altro che una storia d’amore.
Si tratta di una storia d’amore cruda, straziante, e che fa dell’evoluzione del rapporto tra i due protagonisti il tema portante.
Un’evoluzione perfettamente credibile e resa con una delicatezza disarmante.
Non è un caso che ognuna delle quattro stagioni culmini con un evento dal forte impatto emotivo tanto per noi quanto per la piccola Ellie, creando una forte empatia tra il giocatore e due tra i protagonisti più vivi apparsi negli ultimi anni.
Non sempre all’altezza, invece, i tanti personaggi incontrati nell’arco del gioco.
Per quanto interessanti, alcuni di loro tendono a sembrare macchiette poco credibili e non riescono a bucare lo schermo quanto Joel e Ellie.
Un epilogo per nulla scontato, a tratti atipico, ha il merito di chiudere magistralmente il cerchio dando un senso al nostro viaggio e regalando attimi di sincero stupore.
I giochi di sguardi, la gestualità dei personaggi, i continui rimandi al prologo, le frasi a denti stretti, tutto si condensa per creare una forte onda emotiva pronta a travolgere colui che osserva dall’altra parte dello schermo.
The Last Of Us è un racconto che riesce a trasmettere forte e chiaro il proprio messaggio, pur incappando in qualche leggerezza qua e là.
Più di una volta la trama finisce con l’inciampare in clichè e forzature tipiche del genere, e purtroppo molti dei temi trattati vengono solo scalfiti in superficie, senza osare più del dovuto.
L’infezione, spesso e volentieri, viene trattata solo marginalmente e il salto temporale successivo al prologo non permette al giocatore di conoscere a fondo gli avvenimenti del mondo di gioco.
Saranno i documenti trovati durante l’esplorazione a darci qualche nozione sui fatti accaduti prima e durante l’epidemia.
E’ una scelta tutto sommato comprensibile, in quanto un mondo così crudo e brutale non è altro che il pretesto più adattabile alle reazioni umane sulle quali gli stessi Naughty Dog hanno voluto puntare.
Unico nel suo genere
E’ bene chiarire subito una cosa: The Last Of Us non è esclusivamente uno shooter, così come non è uno stealth game, un adventure, un survival horror.
Uno dei suoi maggiori pregi va ricercato nel fatto di essere un mix di più generi, sapientemente amalgamati dalle abili menti degli sviluppatori, che, nella somma delle parti, contribuiscono a creare un’esperienza ludica completa, appagante e fresca.
Si spara, e molto, ma per sparare occorre esplorare l’ambiente circostante in cerca di preziose munizioni e risorse.
Quando le risorse iniziano a scarseggiare bisogna quindi procedere con cautela, nascondendosi dai nemici e agendo in maniera furtiva, in situazioni di forte tensione e, a tratti, costellate da tinte horror.
Si crea quindi un effetto domino, grazie al quale queste componenti raggiungono un’alchimia tale che, anche solamente senza una di esse, l’impianto ludico del prodotto rischierebbe di incantarsi su sè stesso.
Il gioco ha una struttura lineare, ma, grazie ad un discreta estensione delle mappe e ai tanti interni visitabili, riesce a regalare un’esperienza più areata rispetto a prodotti similari.
Il level design invoglia quindi ad esplorare il mondo di gioco per raccogliere collezionabili (sotto forma di piastrine e documenti) e risorse utili a proseguire negli scontri.
Proprio l’esplorazione acquista dunque un ruolo fondamentale nell’economia di gioco, in quanto i combattimenti vanno pianificati con cura e affrontati con un pizzico di tattica.
Nello scenario troveremo vari materiali che ci permetteranno di creare, rigorosamente in tempo reale, strumenti di morte (bombe a chiodi, molotov, ecc.) oppure oggetti curativi e diversivi (medikit, bombe fumogene, ecc.).
Proprio la creazione in tempo reale, utile a rendere la situazione maggiormente ansiogena, ci permetterà di scegliere come affrontare lo scontro: meglio preparare una molotov per compiere un agguato o risparmiare l’alcool necessario per creare un oggetto curativo? Attirare un nemico vicino ad una bomba a chiodi precedentemente piazzata oppure utilizzare le lame per creare una mazza chiodata utile per assalti frontali?
Le possibilità sono quindi molteplici e garantiscono una buona varietà di situazioni, affrontabili sia in maniera diretta che furtiva.
Il design delle arene in cui si svolgono gli scontri, unito al fatto che le munizioni sono merce alquanto rara, spingono maggiormente ad utilizzare un basso profilo, rimanendo accovacciati e spostandosi da un riparo all’altro grazie ad un comodissimo sistema di coperture automatico.
E’ possibile inoltre creare diversivi distraendo i nemici grazie ad oggetti di fortuna disseminati nello scenario, come bottiglie e mattoni (utilizzabili anche come armi contundenti).
Per venirci incontro durante le complicate fasi stealth gli sviluppatori hanno inserito un’abilità chiamata “Modalità Ascolto”.
Tale abilità permette a Joel di utilizzare il suo udito per captare le presenze nemiche nell’area circostante.
E’ un aiuto che si può disattivare in qualsiasi momento (nella difficoltà Sopravvissuto è disattivato di default), ma che, se abusato, rischia di facilitare fin troppo il nostro compito e quindi di compromettere inevitabilmente l’ansia data dalle situazioni che vengono a crearsi.
Tuttavia, spesso e volentieri, avremo la possibilità di utilizzare, seppur dosando i proiettili, le tante bocche da fuoco a disposizione (tra le quali figura un’ormai immancabile arco).
Le meccaniche da third person shooter funzionano a meraviglia, con un feedback delle armi assolutamente straordinario e una fisicità degli scontri di un realismo ineguagliabile.
La brutalità dei colpi inferti ai nemici è papabile, e la mano tremolante di Joel dona ancora più tensione alle sparatorie.
La dose di splatter che accompagna gli scontri trova il suo apice durante le fasi di corpo a corpo: non solo potremo strangolare (o accoltellare, nel caso avessimo a disposizione una lama) i nemici alle spalle, ma ad ogni colpo inferto e in base ad algoritmi ottimamente elaborati si attiveranno azioni contestuali sempre diverse.
Non sarà raro vedere Joel spingere con violenza la testa dei nemici contro mobili e muretti, o prenderli a calci e pugni con decine di animazioni caratterizzate da una fluidità incredibile.
Gradita anche la possibilità di utilizzare i nemici come scudi, puntando loro la pistola alla tempia, dandoci un buon vantaggio tattico nel mezzo di uno scontro a fuoco.
Un’intelligenza artificiale decisamente elaborata, ma non esente da difetti, non è altro che la perfetta cornice ad un gameplay così dinamico.
Durante le fasi stealth i nemici umani, con un raggio visivo a onor del vero non troppo ampio per un titolo dalle forti velleità stealth, si limitano a presidiare la zona e a seguire routine basilari.
Una volta allertati, invece, tendono a cambiare di continuo posizione, aggirando Joel e improvvisando manovre di gruppo sofisticate, creando un’imprevedibilità che rende le battaglie sempre diverse tra loro.
Discorso diverso quello riguardante le quattro classi di infetti, ognuna caratterizzata da comportamenti ben precisi.
I Runner si muovono in gruppo, sono molto veloci ma non molto coriacei.
Gli Stalker rimangono nell’ombra e tendono a nascondersi per preparare imboscate.
I Clicker, privi della vista, sono più sensibili ai rumori e, nonostante la loro andatura compassata e quasi schizofrenica, si rivelano in grado di uccidere con un solo morso.
Il quarto stadio, come da copione, è quello più letale e non sarà facile uscire incolumi da un faccia a faccia.
Per quanto riguarda l’IA alleata il lavoro maggiore è stato fatto, come prevedibile, con Ellie.
I comprimari si limitano a nascondersi insieme a Joel e a sparare qualche proiettile durante le fasi di attacco. La ragazza, dal canto suo, si mostra più intraprendente, avvisando Joel sulla posizione dei nemici, lanciando oggetti verso di essi e attaccandoli con il suo fidato coltello.
Può inoltre, di tanto in tanto, aiutare Joel donandogli qualche munizione e un medikit in caso di necessità.
Scelta non felicissima visto che, specie ai livelli di difficoltà più elevati, avere qualcuno a vegliare su di noi smorza sensibilmente il grado di sfida.
Va segnalato inoltre che i personaggi secondari (Ellie compresa) sono invisibili ai nemici durante la furtività.
Si tratta comunque di una scelta ben precisa da parte degli sviluppatori, che probabilmente non sarebbero mai riusciti, con questo hardware e con così poco tempo, a creare routine così elaborate e complicate da rendere gli altri personaggi abili quanto noi, senza farci incappare in qualche frustrante game over non voluto.
Hanno quindi optato per una comoda, ma visivamente fastidiosa, sospensione dell’incredulità.
Le 15/20 ore necessarie (a seconda del livello di difficoltà e dello stile di gioco) per concludere il viaggio scorrono con naturalezza e senza mai annoiare, proprio come accade con un buon film.
The Last Of Us è un gioco impegnativo, ragionato, ma non arriva mai a frustrare il giocatore.
I checkpoint eccessivamente generosi, tra l’altro, potrebbero far storcere il naso agli amanti delle sfide impossibili.
Anche ai livelli di difficoltà più alti rimane sempre la possibilità di ricominciare da pochi passi prima rispetto al game over, scelta che toglie un po’ di tensione e rende tutto più fruibile.
Forse sarebbe stato più saggio dosare meglio i salvataggi e rendere da subito disponibile la modalità Sopravvissuto, sbloccabile invece solo dopo aver finito il gioco.
Sono presenti, oltre ai numerosi e già citati collezionabili, potenziamenti per le armi e per le abilità di Joel sotto forma di ingranaggi e pillole da collezionare, con la possibilità di continuare l’upgrade durante il classico “NewGame+”.
Per fortuna, pur essendo utili alla causa, non si tratta di potenziamenti che facilitano eccessivamente il gioco, rischiando di snaturarlo, ma vanno ben ponderati e non fanno altro che invogliare a ricominciare l’avventura.
Sarà possibile quindi aumentare il raggio della “Modalità Ascolto” o creare più rapidamente gli oggetti, mentre le armi usufruiranno di caricatori estesi, fondine aggiuntive e così via, tutto grazie ad appositi tavoli di lavoro sparsi per lo scenario.
Artisti digitali
L’engine grafico sviluppato da Naughty Dog spinge per l’ennesima volta al massimo un hardware ormai stanco.
Un mondo vasto e ispirato, minuziosamente modellato da artisti della tecnica, si apre davanti agli occhi dello spettatore, meravigliandolo di volta in volta.
Coadiuvato da un valore artistico notevolissimo, The Last Of Us raggiunge l’ennesimo traguardo in ambito console.
Ogni stanza racconta una storia, grazie ai suoi particolari e ai tantissimi oggetti che la compongono, ricreati con cura maniacale.
Dalle campagne, alle cittadine, agli enormi edifici sui quali si poggia il verde di una natura che reclama i suoi spazi, con tramonti colmi di speranza e gocce di pioggia che accarezzano le vetrate.
Forse non potrà vantare le splendide ambientazioni esotiche e l’accesa paletta cromatica di Uncharted, ma il gusto estetico di Naughty Dog è ben presente.
Fuori parametro le animazioni facciali e i modelli poligonali, con performance recitative di livello assoluto e una regia sempre pulitissima e incalzante.
Il sistema di illuminazione dinamico è uno sguardo alla next gen, con deliziosi giochi di luce creati dalla fidata torcia di Joel.
Un sensibile aliasing e qualche calo di framerate durante i momenti in cui il motore viene messo sotto pressione non intaccano la bontà di un lavoro mastodontico.
L’eccessiva attesa per il caricamento iniziale viene ripagata dall’assenza di interruzioni durante le sessioni di gioco.
E’ evidente che si sia dovuto scendere a compromessi, anche sul fronte texture, ma globalmente lo spettacolo visivo messo in scena da The Last Of Us rappresenta probabilmente il massimo ottenibile da una PlayStation 3.
Un plauso va fatto al sonoro, fiore all’occhiello della produzione.
Campionamenti incredibilmente realistici e rumori ambientali si fondono perfettamente con le note pizzicate di Gustavo Sataolalla, due volte premio oscar. Validissimo il main theme, ma è il delicato incedere con cui le melodie giungono alle orecchie nei momenti clou a impressionare.
Un doppiaggio originale ai limiti della perfezione non fa sfigurare i doppiatori italiani, dai quali, nonostante qualche scelta meno azzeccata in termini di tono vocale, traspare una partecipazione invidiabile.
Peccato per il pessimo missaggio audio, che rende praticamente obbligatori i sottotitoli durante le tante conversazioni tra i personaggi all’infuori delle scene d’intermezzo.
Il gioco possiede anche una modalità multiplayer.
Per quanto non propriamente originale e avara di mappe e modalità, garantisce ulteriore spessore al titolo e ha il grandissimo merito di trasportare anche nelle battaglie online i tratti distintivi del single player.
Otto giocatori si sfidano tra due diverse fazioni in classici deathmatch, agendo in maniera furtiva per sorprendere il nemico, creando oggetti di fortuna, e rastrellando le mappe in cerca di munizioni e risorse, utili sia per ottenere temporanei vantaggi in battaglia, sia per rimpolpare un clan immaginario di sopravvissuti da far crescere tra le proprie fila.
Non mancano potenziamenti e una buona dose di personalizzazione, anche estetica.
Grave mancanza l’assenza di una modalità orda, già sperimentata in Uncharted, che avrebbe sicuramente reso più appetibile e interessante l’offerta multiplayer.
Commento Finale
The Last Of Us rappresenta uno dei punti più alti toccati dall’attuale generazione di console, e non solo.
L’opera di Naughty Dog è destinata a rimanere a lungo scolpita nelle menti dei giocatori, che non potranno fare a meno di applaudire un prodotto di tale portata.
Emozionante, immersivo, capace di unire narrativa e gameplay con una semplicità disarmante e una raffinatezza unica, laddove molti sviluppatori avevano fallito.
Qualche scricchiolio, dovuto anche ai limiti della macchina sulla quale è stato sviluppato, e qualche scelta più o meno condivisibile, non intaccano il lavoro di un team capace di reinventarsi ogni volta e di regalare all’intera industria videoludica il suo personale capolavoro.