anche la pacifist run, con tutte le cose che ho scoperto di non aver fatto nella prima. Mi accingo a fare la genocide.
Non pensavo gli avrei concesso più di una run, che è una cosa che ormai non faccio più coi videogame, ma mi rendo conto di quanto qui sia parte fondamentale dell'esperienza. Fare il gioco tre volte è il vero modo per finirlo, la ripetizione stessa è contestualizzata all'interno della storia e solo ora che sto per iniziare la run più spietata, capisco perché il gioco in qualche modo ti spinga a seguire un ordine preciso: neutrale, pacifista e genocida.
C'è un certo tormento nell'iniziare la genocide dopo aver vissuto due volte questa storia e questi personaggi, un sadismo che gioca con la voglia e la curiosità del giocatore di completare tutto.
Proprio dopo una run in cui il legame con questi personaggi virtuali così "veri" è diventato fortissimo, il gioco ti chiede di provare la "via dell'aceto" e al contempo ti prega di non farlo. Ma tu sei, appunto, spinto dalla curiosità di svelare tutto e allo stesso tempo, sei carico di una certa frustrazione dovuta a una partita in cui un milione di volte avresti voluto risolvere le fasi difficili combattendo ed eliminando chi ti attaccava. Arrivi alla Genocide con un certo conflitto interiore: da un lato brami vendetta e libertà di risolvere le cose alla vecchia maniera, dall'altra ogni singolo personaggio ucciso genera un senso di colpa inaspettato. E questo è sfruttare il medium ai massimi livelli.
Mi sono chiamato "Terror" nella run genocida, per darmi coraggio in questo massacro. Per provare a fingere, forse, di non essere lo stesso pg che ha vissuto le due avventure precedenti.
Ma, ops...non è comunque il nome mio
