In seguito alla morte di un sottufficiale della marina militare, la procura di Siracusa ha iscritto nel registro degli indagati il medico e l’infermiere che gli hanno somministrato il vaccino, il medico del 118 che gli ha prestato i soccorsi quando si è manifestata la trombosi, e addirittura l’amministratore delegato di AstraZeneca, l’azienda farmaceutica produttrice del vaccino.
Il procuratore, intervistato dalla stampa, ha pronunciato la frase di rito “si tratta di un atto dovuto, a garanzia degli indagati” ma le cose stanno davvero così? L’iniziativa della procura è un atto totalmente neutro, privo di conseguenze per la società nel suo complesso e per i singoli cittadini?
Prima di rispondere, occorre precisare, innanzitutto, che, non potendosi conoscere le cause della morte prima dell’autopsia, non era affatto “dovuta” l’iscrizione di chicchessia nel registro degli indagati, potendosi benissimo procedere a carico di ignoti (ignote, allo stato, le cause della morte, ignote le responsabilità).
Ciò premesso, occorre dire con chiarezza che non può essere la magistratura a decidere la politica sanitaria di un paese, essendo questa responsabilità delle autorità di governo, chiamate a scegliere come, dove e quando intraprendere una campagna di vaccinazione a tutela della salute pubblica.
La vaccinazione, infatti, non costituisce esclusivamente un trattamento medico a protezione del singolo cittadino, ma risponde a un più generale interesse sociale, tanto più evidente in un caso come questo dove la diffusione dell’epidemia è stata in grado di distruggere l’economia e la stessa tenuta sociale del paese.
Non a caso, in tutti i paesi occidentali, è lo stato a farsi carico dei possibili danni che alcuni cittadini dovessero riportare in seguito alla somministrazione del vaccino e non i sanitari, ovvero le case farmaceutiche. Il motivo è evidente: posto che è un interesse collettivo impedire che si diffondano epidemie e malattie tali da arrecare un grave danno alla società nel suo complesso, lo stato che decide di avviare una campagna di vaccinazione (previa autorizzazione delle autorità regolatorie competenti) prende su di sé la responsabilità di eventuali conseguenze negative, valutando, in parole povere, che il gioco valga la candela. In altri termini, a fronte di 100mila morti a causa dell’epidemia (cifra probabilmente sottostimata, considerato che nel solo 2020 l’eccesso di mortalità rispetto alla media degli ultimi cinque anni è stata di più di 100mila persone), per non parlare dei danni economici provocati dalla più grave recessione del dopoguerra, lo stato può - e deve - legittimamente decidere di avviare una campagna vaccinale, anche se ciò dovesse comportare il verificarsi di alcune reazioni avverse, anche gravi.
Si tratta di una scelta politica, della quale il governo dovrà - eventualmente - rispondere agli elettori, ma che non può essere sindacabile da parte della magistratura.
In quest’ottica, lungi dal rappresentare una garanzia nei confronti delle persone coinvolte, l’iniziativa di iscrivere nel registro degli indagati i sanitari che hanno somministrato il vaccino ha già avuto il risultato di dissuadere numerosi medici dall’offrire la propria disponibilità a partecipare alla campagna in corso (“bravi sì, ma non fessi”, ha scritto un medico commentando l’invito pervenutogli dall’ordine), mentre l’avviso di garanzia nei confronti dell’AD della casa farmaceutica produttrice potrebbe avere conseguenze ancora più nefaste (“vi fornisco il vaccino a prezzo di costo e mi processate? Facciamo così, le prossime dosi fatevele produrre dalla procura di Siracusa e vediamo che succede”).
Se non si vuole che il nostro paese venga messo ai margini dal consesso delle nazioni sviluppate e si autodistrugga in un’ossessione panpenalistica, si rende necessario e urgente un intervento della politica che sottragga alla magistratura, per restituirlo a pieno titolo alle autorità regolatorie competenti, il controllo della campagna vaccinale, valutandone rischi e benefici nel complesso.
Non è difficile, basta che la politica si riprenda finalmente il suo ruolo con serietà e coraggio.