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Gli amori difficili | Italo Calvino, 1970. Piuttosto altalenante sia nelle idee che nelle realizzazioni, non mancano i guizzi – pur sempre di Calvino parliamo – ma nemmeno racconti un po’ più deboli e in fin dei conti dimenticabili. Per quanto riguarda le note più positive, piaciuta molto la paradossale paranoia dell’Avventura di un automobilista, e l’opprimente malinconia di quella dei due sposi; molto bello anche il racconto lungo La formica argentina, dal retrogusto surreale e kafkiano, anche se è relativamente deludente la conclusione. Difetto in realtà comune anche ad altri racconti, che spesso mancano una chiusura incisiva.
Rumore bianco | Don DeLillo, 1985. La sensazione è che, senza Rumore bianco, non avremmo avuto l’Infinite jest che conosciamo. Grottesca iperbole dell’iperconsumismo abbrutente, dell’irreversibile scolorirsi dei contatti umani e di quello con la realtà, dell’onanistico ripiegarsi su se stessa della cultura occidentale, dell’inesorabile proiettarsi della scienza verso un futuro che sembrerebbe non prevedere più alcun elemento umano. L’ironia di DeLillo è pervasiva e spietata, e la costruzione di questo mondo morente procede per dettagli deliziosamente malsani. In un mondo saturato di informazione la realtà perde di consistenza, valore, interesse; le vite si svuotano di significato, le parole falliscono ogni tentativo di razionalizzazione, subito sommerse dall’assordante rumore bianco. L’ultima parte del libro è quella che mi ha entusiasmato meno, procedendo verso una sorta di resa dei conti non esente da qualche didascalismo – ma entriamo anche nel soggettivo, non trovando personalmente molto interessante il tema della paura della morte che nell’ultima parte si fa prominente. In ogni caso lettura quasi fondamentale per quanto mi riguarda, difficilmente dimenticabile.
Le regole dell’attrazione | Bret Easton Ellis, 1987. Bellissima la forma narrativa (l’apertura e la chiusura, perfetti), poco più che un intrecciarsi di flussi di coscienza che ora si incontrano, ora si sovrappongono, ora si lasciano a restituire un’immagine multiforme, confusa e talvolta contraddittoria della vita facile degli studenti di Camden. Fortissimo l’impatto con questo mondo tutto sesso e indifferenza, sballo e apatia, con questo involucro di eccessi eretto a protezione di un vuoto desolante. L’unico vero difetto del libro è la sua monotonia, le intenzioni di Ellis sono chiare fin dai primi capitoletti e una volta superato l’impatto iniziale non resta molto da scoprire.
Rumore bianco | Don DeLillo, 1985. La sensazione è che, senza Rumore bianco, non avremmo avuto l’Infinite jest che conosciamo. Grottesca iperbole dell’iperconsumismo abbrutente, dell’irreversibile scolorirsi dei contatti umani e di quello con la realtà, dell’onanistico ripiegarsi su se stessa della cultura occidentale, dell’inesorabile proiettarsi della scienza verso un futuro che sembrerebbe non prevedere più alcun elemento umano. L’ironia di DeLillo è pervasiva e spietata, e la costruzione di questo mondo morente procede per dettagli deliziosamente malsani. In un mondo saturato di informazione la realtà perde di consistenza, valore, interesse; le vite si svuotano di significato, le parole falliscono ogni tentativo di razionalizzazione, subito sommerse dall’assordante rumore bianco. L’ultima parte del libro è quella che mi ha entusiasmato meno, procedendo verso una sorta di resa dei conti non esente da qualche didascalismo – ma entriamo anche nel soggettivo, non trovando personalmente molto interessante il tema della paura della morte che nell’ultima parte si fa prominente. In ogni caso lettura quasi fondamentale per quanto mi riguarda, difficilmente dimenticabile.
Le regole dell’attrazione | Bret Easton Ellis, 1987. Bellissima la forma narrativa (l’apertura e la chiusura, perfetti), poco più che un intrecciarsi di flussi di coscienza che ora si incontrano, ora si sovrappongono, ora si lasciano a restituire un’immagine multiforme, confusa e talvolta contraddittoria della vita facile degli studenti di Camden. Fortissimo l’impatto con questo mondo tutto sesso e indifferenza, sballo e apatia, con questo involucro di eccessi eretto a protezione di un vuoto desolante. L’unico vero difetto del libro è la sua monotonia, le intenzioni di Ellis sono chiare fin dai primi capitoletti e una volta superato l’impatto iniziale non resta molto da scoprire.