Giochi Non aprite quel topic: discussioni generali sugli Horror Games

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Riporto direttamente l'articolo che mi sembra adatto a fornire un input alla discussione.

Premessa.

Nell’articolo ci soffermeremo a riflettere su alcuni testi videoludici appartenenti a un medesimo genere di riferimento – il survival horror. Con questa breve premessa, a grandi linee e con la dovuta flessibilità, cerchiamo di tratteggiarne i motivi di interesse nonché qualche caratteristica fondamentale.
Come categoria dialettica quella del survival horror1 circoscrive un insieme basato su alcuni elementi ricorrenti: un’atmosfera ricca di tensione, la presenza di una minaccia terrificante, un numero limitato di risorse e una serie di enigmi da risolvere. Dal punto di vista narrativo, i titoli che appartengono al genere presuppongono l’isolamento di un protagonista cinto d’assedio dalle forze del male in un luogo misterioso e oscuro. Da quello iconografico rimandano a un cosmo di riferimenti di inevitabile matrice filmica: morti viventi, mostri deformi e altre aberrazioni abitano atmosfere desunte da un immaginario popolare già filtrato e magnificato da grandi e piccoli schermi. È proprio l’isolamento a mettere però in discussione la collettività esperienziale2 della sala cinematografica, fonte d’ispirazione primaria dei mondi possibili del videogioco horror, oltre a fornirci il primo e più ricorrente elemento strutturale alla nostra analisi.
Come scrive Jean-Sébastien Chauvin i survival horror sono esperienze finzionali personali, “segrete”, che l’utente è chiamato a vivere in uno stato di solitudine – magari immerso nell’oscurità, come riecheggia il titolo di uno dei capisaldi del genere [Alone in the Dark, (id., Infogrames, 1992)]. «L’esperienza solitaria del personaggio specchia quella del giocatore»,3 il quale si trova in ambienti e racconti terrificanti nel medesimo stato in cui vi si immerge il suo avatar. Ecco che pur recuperando (ma evolvendo) un immaginario strettamente filmico il videogioco diventa «quintessenza di quest’era di solitudine»,4 consentendo all’utente di fare esperienza diretta di un racconto in cui interpreti e sia, a tutti gli effetti, «l’ultimo uomo sulla terra».5 A patto che voglia stare al gioco, il fruitore si troverà dinnanzi a immagini ben diverse da quelle cinematografiche: mondi permeabili in grado di imporre al reale una propria sfera d’influenza, tale da farlo diventare estensione stessa del virtuale. È forse questa natura immersiva ed emotivamente prorompente ad aver contribuito allo sconfinato successo che i survival horror hanno avuto nel tempo, nonché a portare uno dei più influenti esperti in materia, Bernard Perron, a definirli come «il genere videoludico per eccellenza».6 Trovandosi in un interspazio indefinito in cui l’atmosfera dello schermo viene estesa al di là dei propri limiti fisici,7 l’utente del survival horror mette in comunicazione realtà alternative: l’abisso nero come la pece che il suo personaggio esplora e l’oscurità che circonda lo schermo, la solitudine del suo avatar e la sua, l’angosciosa sensazione di essere spiato e braccato nel mondo finzionale e quella di esserlo, contro ogni aspettativa, anche nello spazio reale. Più di altri videogiochi quelli ascritti al genere survival horror negoziano con la realtà un terreno di scambio inedito, terrificante – il più delle volte interiore, inerente cioè esperienze private del giocatore.
Nel corso dell’articolo rifletteremo su alcune modalità di negoziazione tra spazio virtuale e spazio reale in atto nel videogioco horror: ci interesserà in particolare porre in risalto alcuni processi di natura iconologica, narrativa e interattiva in grado di estendere e ridefinire l’ambiente digitale al di là dei propri confini – di fatto, favorendo nel fruitore l’esperienza di terrore o di angoscia al centro della testualità in esame. 
I testi che considereremo non apparterranno alla contemporaneità videoludica, saranno piuttosto episodi “storici” (per lo più compresi nell’arco temporale 1990-2005) che ne hanno definito lo sviluppo: questo per esigenze di chiarezza e circoscrizione della nostra zona d’interesse.


Oltre l’interdizione dello sguardo – iterazioni del fuori campo.


Possiamo rinvenire una prima di queste negoziazioni nelle modalità stesse in cui l’ambiente digitale viene a strutturarsi durante la partita.8
Nel notare come gli angoli di ripresa9 siano fonte primaria della costruzione della tensione del survival horror Perron10 accenna al rilievo che assume il fuori campo nella configurazione dello spazio di gioco. Le matrice filmica di questo processo è evidente: la distinzione tra campo e fuori campo polarizza le inquadrature del videogioco dando allo spazio della visione (che è anche spazio dell’azione) uno statuto preciso. La scomposizione dei luoghi passa così per il filtro drammatizzante e narrativo della camera digitale: ciò è più evidente che mai nei survival horror a inquadratura fissa. Un primo esempio lo troviamo nelle fasi iniziali di uno dei titoli più celebri del genere: Resident Evil 2 [Biohazard 2, Capcom, 1998]. Qui il protagonista entra in un negozio traendosi in salvo dall’apocalisse zombie che imperversa per le strade: l’angolo di ripresa ce lo presenta a figura intera e con lo sguardo rivolto verso la camera, spalle all’ingresso che si è appena lasciato dietro. L’utente è libero di muovere un passo in avanti, al che una voce lo immobilizza intimandogli di restare fermo dov’è e dando avvio a una breve sequenza animata. Si viene a scoprire dall’inquadratura successiva che un negoziante in stato d’allarme stava puntando il fucile dritto verso il protagonista.

Il fuori campo in questa sequenza è determinante: nella prima inquadratura, il giocatore ha uno spazio di visione e d’azione così ristretto da sentirsi preda degli eventi – attorno al suo protagonista potrebbe celarsi qualsiasi minaccia. Nel momento in cui la voce del negoziante spezza il silenzio, poi, tutto il senso della scena fugge verso i confini del quadro e annulla l’immagine nel campo che la segue, più largo e sinottico. La latenza del pericolo si sostanzia in un fuori campo opprimente, angoscioso e pronto da un momento all’altro a vampirizzare il quadro. Un esempio paradigmatico e che riassume efficacemente l’importanza del fuori campo nel genere. Rimanendo nel dominio delle inquadrature fisse, innumerevoli sono i casi di avversari mostruosi che irrompono direttamente a partire da un ambiente né visibile né agibile: quello seminale è probabilmente il mostro che sfonda la finestra nella primissima sezione di Alone in the Dark, riproposto più volte dalle serie Resident Evil [Biohazard, Capcom, 1996 – in corso] tanto da diventare un vero e proprio topos del survival horror. Il motivo è subito comprensibile: nulla rende l’utente più insicuro e spaventato della possibilità che qualcosa di invisibile all’improvviso diventi visibile.Ecco che il survival horror inizia a ruotare attorno a un’idea dello spazio dominata dal dubbio e dall’insicurezza, fondata per lo più sulla possibilità che al di là delle soglie d’interdizione dello sguardo si nasconda qualcosa di terribile e pronto ad affiorare all’interno del quadro. Dietro ogni angolo può nascondersi un morto vivente, ogni finestra può cadere in mille frantumi e far apparire la bestia.

Siamo oltre la distinzione tra luogo e spazio di cui scrivono Mary Fuller e Henry Jenkins a proposito dei titoli strategici:11 non si ha a che fare con un ambiente astratto che inizia a esistere in concreto ed estende qualcosa di già presente e agibile, piuttosto con un altrove proibito (e che rimane tale) dal quale il pericolo emerge direttamente. Il risultato è un mondo che non si può abitare con sicurezza. Questo senso di vulnerabilità nasce da una contrapposizione interno/esterno che viene istituita in prima istanza dalla polarità campo/fuori-campo di cui si è parlato poco sopra: si presuppone che una zona d’influenza diretta (dello sguardo, del gesto) venga continuamente assediata da una invece impossibile, vietata, in cui lo sguardo e il gesto non sono neanche pensabili. La distinzione risulta evidente nelle varie inquadrature che ci mostrano la soggettiva del mostro, della minaccia in agguato: qui il quadro viene definito da un fuori campo che si determina, a scanso di equivoci, come primo dominio di incertezza e terrore.

A livello diegetico la contrapposizione viene ribadita all’infinito: gli spazi del survival horror sono regolarmente circondati dal buio, costellati di soglie oltre le quali non si può andare, al di là di cui non si vede nulla, in cui è troppo pericoloso o difficile addentrarsi. Una serie di interdizioni sostanziali.

L’unico modo per contrastare l’insicurezza dello spazio riflette la staticità architettonica e visiva del survival horror a inquadratura fissa: consiste cioè nella delimitazione e protezione delle barriere che definiscono i luoghi dell’azione. Chiudere una saracinesca diventa obbiettivo di primaria importanza, abbandonare in fretta un corridoio con delle finestre (integre o in frantumi che siano)13 una necessità. Dalle feritoie, dai buchi, dalle finestre o dalle pareti può fare ingresso qualsiasi orrore: animali deformi, morti viventi, spettri armati di gigantesche forbici14 e così via. Quando lo spazio non si può delimitare o proteggere l’utente resta in balia di angoscia e paranoia. È il caso della serie Project Zero [Zero, Tecmo, 2001-05], in cui i fantasmi affiorano in qualsiasi momento dai muri, dal soffitto o dal terreno trasformando l’ambiente in un’impalcatura traslucida e permeabile, inadatta a fornire qualsiasi forma di protezione.

Campo e fuori campo, interno ed esterno: l’horror videoludico rimodella l’attenzione sullo spazio dell’orrore letterario o cinematografico, in particolare partendo dalla rappresentazione ossessiva e centralizzante di uno spazio chiuso15 che ritorni a livello visivo quanto architettonico. È in questi spazi che qualcosa d’improvviso si manifesta al posto del nulla, rievocando quel “perturbante” di cui scrive anche Schelling nella sua Filosofia della mitologia.16 «[…] Il vero orrore è quello di Qualcosa […] laddove ci aspetteremmo il Nulla.»17

Articolo completo dove oltretutto potete visionare alcune immagini di riferimento e relative didascalie, come pure le note a margine, che per pura e semplice comodità ho omesso nel trasferimento da una sede all'altra. Se volete leggerlo tutto vi avviso che da un certo punto in poi credo arrivino grossi spoiler di titoli che i più conosceranno meglio di me. Io mi sono fermato a leggere in quel punto.

Comunque i crediti per quanto ivi riportato vanno tutti all'autore dell'articolo, io ho estrapolato soltanto la prima parte, cioè quella che mi interessava maggiormente allo scopo di introdurre l'argomento preso in esame, senza operare alcun tipo di rimaneggiamento del materiale originario.

Intanto, siete d'accordo con quanto scritto nell'articolo?

Poi, addentrandoci concretamente nella questione, in una generazione in cui sono fioccati open world che, con la loro proclamata libertà di esplorazione, potrebbero essere presi a simbolo di una rinuncia al controllo autoriale delle informazioni visive durante l'azione in tempo reale, pensate che la telecamera fissa nel genere survival horror sia uno strumento di espressione ormai arcaico e obsoleto, oppure che sotto la sapiente supervisione di autori talentuosi abbia ancora qualcosa da dire o, addirittura, che non sia mai veramente invecchiata perdendo la sua efficacia bensì sia stata soltanto abbandonata?

E le schermate fisse che scandivano riquadri precisi negli adventure platform ad enigmi ambientali e progressione bidimensionale come i primi due capitoli della serie Oddworld?

O Yoko Taro che, con i due NieR, in controtendenza rispetto ai generi a cui potrebbero essere ricondotti questi prodotti, ha cercato di riappropriarsi dei confini del flusso audiovisivo forzando la prospettiva dell'inquadratura in svariate sezioni di gioco?

 
Ultima modifica da un moderatore:
Articolo molto interessante! Anche se essendo una lettura un po' lunga immagino richieda del tempo per essere fruito a dovere.

Sebbene non si ripeta mai troppo che film e vg sono due media differenti, c'è una componente di entrambi che, a seconda di quanto viene curata, può diventare marca indiscutibile dell'autorialità di un'opera: sto parlando della regia.

Mentre scrivevo queste righe, mi è inevitabilmente balzato alla memoria tutto quello che c'è da 5:20 in poi:





Tecnicamente il gioco ormai è invecchiato, e anche parecchio, ma quell'uso della telecamera può fare scuola ancora oggi.

In effetti, spesso si dice che gli horror in prima persona abbiano preso piede per una questione di "immersività" (anche se sappiamo tutti che il vero motivo è la semplicità di realizzazione dei cosiddetti "walking simulator" :asd: ), ma in effetti è interessante riflettere sul fatto che l'immersività nell'horror può essere data dal senso di solitudine e dall'atmosfera, molto più che dalla telecamera.

E' in effetti "atmosfera" la parola d'ordine per definire un horror che si rispetti oggi (non dico "survival", perché se la passano malino); e il fatto è che l'atmosfera è un qualcosa che il giocatore talvolta si deve guadagnare scendendo a compromessi: ad esempio, io amo giocare gli horror nel buio della notte e con le cuffie; ci credete che sono due mesi che non riesco a mettermi a iniziare RE2 Remake perché c'è sempre mio fratello a fianco a me con la lucetta accesa che gioca a Lol martellando furiosamente i tasti e sbraitando in chat? :asd:

Detto questo, penso possiamo anche condividere tutti il fatto che oggi i giocatori sono sempre meno disposti a scendere a compromessi; e, al di là dell'atmosfera, i survival horror ne hanno sempre chiesto tanti...da qui le numerose "limitazioni" sempre imposte al giocatore, come movimenti legnosi, risorse limitate, e - perché no - inquadratura fissa e claustrofobica: tutto in favore dell'atmosfera e dell'immersività. Ma se i giocatori non sono disposti a scendervi, ecco che a poco a poco le richieste diminuiscono, e tutto si semplifica e "appiattisce".

Quindi sì, indubbiamente la telecamera fissa mi manca un po', anche per questi suoi aspetti funzionali, non solo per un qualche intrinseco gusto vintage; ma non la ritengo indispensabile per creare un'esperienza survival horror...alla fine, per me dipende tutto dall'atmosfera; ma certamente, una sapiente mano d'autore come quella del video suscita e susciterà sempre la mia ammirazione, piuttosto che un corridoio buio infarcito di facili jumpscare.

 
Ultima modifica da un moderatore:
Uppo questo topic da lungo tempo dimenticato, con un piccolo aggiornamento di titolo, in attesa di un vero e proprio reboot del primo post (vista ahimé la scomparsa del RE Network)...

e volevo approfittarne per improvvisare una piccola iniziativa di sezione con tutti voi: lo speciale Halloween Night!

In che consiste? Molto semplice.
L'invito è quello di giocare, nel corso di questo weekend, dei giochi appartenenti al genere horror, per entrare nel mood della nota festività capitalistica, e di condividere (minuziosamente :happybio:) le vostre impressioni (nel senso più generale :asd: ) ed esperienze con tutta la sezione! E chissà, magari anche di suggerire qualche gioco horror meno conosciuto degli altri a giocatori che vogliano cimentarsi :sisi:
Non devono essere necessariamente "survival" horror, basta che siano a tema rispetto a ciò che appartiene al mondo orrorifico...in ogni caso ogni contributo è bene accetto, considerato che questo genere ultimamente è un po' troppo trascurato :temeno:

Per quanto mi riguarda dò la mia esperienza: volevo riservarmi Vampyr per questa settimana ma l'ho finito nei giorni scorsi (nel Vault darò la mia impressione), e mi sono riservato di finire Little Nightmares e di dare una seconda possibilità ad Outlast 2. Vediamo come va :sisi:

che la opening di Silent Hill possa ispirarvi:

 
Bhe dai, non si può festeggiare o fare serata, quindi ci buttiamo su del buon horror per fare una serata a tema .

Probabilmente metterò su il primo film di Silent Hill e continuerò la serata con una nuova run a Dead Space 2 :tè:
 
Ho finito Little Nightmares.
Non l'ho giocato "alla cieca", nel senso che me lo avevano consigliato e quindi un po' sapevo cosa aspettarmi, in ogni caso direi che ha corrisposto alle mie aspettative :morris2:
Gioco molto breve, ma delle derive inquietanti/grottesche più che spaventoso in senso stretto.
Nel primo livello ho cercato di capire l'atmosfera del gioco, e sicuramente ne ho avuto un'idea quando entrando in una stanza ho visto

un tizio impiccato :phraengo:

cosa che sicuramente scongiurava l'impressione Tim Burtoniana edulcorata. Gli altri livelli

sono stati un progressivo aumentare di fughe e fasi trial & error, che se da una parte contribuiscono alla tensione, dall'altra con ogni morte la smorzano un pochino di più.
Le creature e le cose che ho visto durante la fuga sono state davvero grottesche...

cominciando dal custode con le lunghe braccia, andando avanti con i cuochi indemoniati, raggiungendo l'apice con la fuga dalle tavolate di clienti grassoni fuori di senno, veramente l'apice :rickds: se c'è qualcosa che è stato veramente inquietante direi La Signora...la parte di gioco che le è dedicata è molto breve, e anche le fasi di fuga, ma quella volta che le si deve sfuggire è da ansie nere :asd:

Un aspetto negativo è che il gioco parte senza un minimo di contestualizzazione, il che è un peccato perché sarebbe bastato veramente poco, due linee di testo all'inizio, in quanto la trama è misteriosa ma non così criptica alla fine. Bastava: nome protagonista, chi sei, che ci fai lì, chi ti ci ha messo, che intenzioni hai...il resto secondo me si sarebbe capito bene o male. Inquietantissime poi anche le parti della "fame"...
Adesso dovrei essere indeciso se comprare e giocare i dlc, ma mentre mi leggevo la trama del gioco su wikipedia me li sono praticamente spoilerati tutti, inclusi un paio di twist che avrebbero reso il tutto davvero meritevole :bruniii: quindi ormai aspetterò.

Btw, se cercate un'esperienza breve ma molto caratteristica lo consiglio, io l'ho preso in offerta sullo store (attualmente è a 5€).
 
Il gioco non tanto Tim Burton classico quanto Tim Burton se volesse fare qualcosa di distorto e disturbante.
A me la scena che più ha toccato è questa.
""


I Tarsier sono bravi, l'hanno dimostrato più volte, e Little 2 forse sarà ancora meglio.
Che Sony li contattasse e li facesse fare un altro progetto dopo Tearaway sulla 4 e LBp Vita, mortacci loro. :granma:
 
Ultima modifica:
Il gioco non tanto Tim Burton classico quanto Tim Burton se volesse fare qualcosa di distorto e disturbante.
A me la scena che più ha toccato è questa.
""


I Tarsier sono bravi, l'hanno dimostrato più volte, e Little 2 forse sarà ancora meglio.
Che Sony li contattasse e li facesse fare un altro progetto dopo Tearaway sulla 4 e LBp Vita, mortacci loro. :granma:

Ero certo che avresti citato quella scena, probabilmente la più horror del titolo in senso stretto :ahsisi:anche se pure il finale non scherza.
Che poi sono discretamente convinto che anche l'impermeabile giallo di Six sia un richiamo ad It.
 
Little Nightmares è un delitto giocarselo senza DLC


Mi piacerebbe "partecipare" ma attualmente ho troppi giochi iniziati e iniziarne un altro mi manderebbe in pappa il cervello :sadfrog:

Vedo nel backlog digitale se ho qualche indie magari che duri poco
 
Ho giocato Resident Evil 7 ed e' stata un'esperienza molto migliore di quanto non mi aspettassi.
Peccato per i pochi nemici e le sezioni
dalla nave in poi

Ma il non mantenersi sugli stessi livelli per l'intera avventura e' una caratteristica della serie.
E' un titolo sicuramente scarsamente rigiocabile a causa dell'esigua varieta' di nemici e l'uso di stratagemmi da avventura grafica, pero' mi e' piaciuto molto e l'ho trovato estremamente coinvolgente.
 
Alla fine ho trovato anche io il titolo "halloweenesco" perfetto.

Ho convinto finalmente la mia ragazza ad abbandonare con piacere The Order e abbiamo iniziato Resident Evil 3 remake :happybio:

Graficamente è comunque di buon livello (soprattutto Jill) ma almeno stavolta c'è anche un gunplay ottimo. Spaccare le teste agli zombie è sempre un piacere :sisi:
 
Alla fine ho trovato anche io il titolo "halloweenesco" perfetto.

Ho convinto finalmente la mia ragazza ad abbandonare con piacere The Order e abbiamo iniziato Resident Evil 3 remake :happybio:

Graficamente è comunque di buon livello (soprattutto Jill) ma almeno stavolta c'è anche un gunplay ottimo. Spaccare le teste agli zombie è sempre un piacere :sisi:
Gran occasione sprecata RE3 R :sadfrog:
 
Io alla fine non ce l'ho fatta a giocare ad Outlast 2 perché mi sono chiuso su Rise of the Tomb Raider :sadfrog: però qualcosa di vagamente a tema l'ho fatto: la sub-quest di Baba Jaga :sisi: anche se il finale dire che era scontato è dire poco :asd:
 
Come scritto nell'altro topic, oggi altra bella sessione su Resident Evil 3.

Devo dire che mi sta piacendo parecchio e da una parte, l'idea che non duri molto mi fa quasi piacere. Sto cominciando ad avere la nausea di titoli troppi lunghi e mi mancano quei titoli da 5-6 ore della gen PS3 :asd:
 
Come scritto nell'altro topic, oggi altra bella sessione su Resident Evil 3.

Devo dire che mi sta piacendo parecchio e da una parte, l'idea che non duri molto mi fa quasi piacere. Sto cominciando ad avere la nausea di titoli troppi lunghi e mi mancano quei titoli da 5-6 ore della gen PS3 :asd:

Questo perche' molti titoli attuali, in special modo gli open world, fanno un uso smodato e paraculo del backtracking:

Vai dal punto A al B - 10/15 minuti di caricamenti o spostamenti contornati da conversazioni inutili
Gameplay - 3/4 minuti
Ritorno dal punto B al punto A - come il primo passaggio.
Fine quest.

Sostanzialmente alla fine di di una sessione da un'ora si saranno giocati davvero forse 9 o 10 minuti.
 
Questo perche' molti titoli attuali, in special modo gli open world, fanno un uso smodato e paraculo del backtracking:

Vai dal punto A al B - 10/15 minuti di caricamenti o spostamenti contornati da conversazioni inutili
Gameplay - 3/4 minuti
Ritorno dal punto B al punto A - come il primo passaggio.
Fine quest.

Sostanzialmente alla fine di di una sessione da un'ora si saranno giocati davvero forse 9 o 10 minuti.
Hai riassunto la mia attuale "sofferenza" :dsax:

Se magari c'è un bel gameplay sotto, riesco pure a non farci caso, però è difficilissimo trovare qualcosa che non stufi mai, anche alla 1000esima quest uguale da fare.

Per questo, titoli "corridoio" come questo RE3 si stanno rivelando davvero ottimi per me. Dritti al sodo senza perdere tempo con troppe diluizioni.

Piccolo esempio, i primi due Metro li ho amati e non vedevo l'ora di giocarmi Exodus che presi, sulla fiducia, senza leggere o guardare nulla. Risultato? Appena ho visto che pure Metro era diventato una specie di open world sono scappato, l'ho disinstallato e riposto per sempre nel mio scaffale.
 
Hai riassunto la mia attuale "sofferenza" :dsax:

Se magari c'è un bel gameplay sotto, riesco pure a non farci caso, però è difficilissimo trovare qualcosa che non stufi mai, anche alla 1000esima quest uguale da fare.

Per questo, titoli "corridoio" come questo RE3 si stanno rivelando davvero ottimi per me. Dritti al sodo senza perdere tempo con troppe diluizioni.

Piccolo esempio, i primi due Metro li ho amati e non vedevo l'ora di giocarmi Exodus che presi, sulla fiducia, senza leggere o guardare nulla. Risultato? Appena ho visto che pure Metro era diventato una specie di open world sono scappato, l'ho disinstallato e riposto per sempre nel mio scaffale.

E' anche il motivo per cui persona 5(di cui devo giocare la Royal) mi ha tenuto incollato allo schermo 95 ore senza difficolta'.
Se bevessi un caffe' per ogni viaggio in macchina su FFXV sarei gia' in terapia intensiva e non per covid.
E' una moda basata su numeri letti a casaccio da azionisti che si danno arie di business analyst, roba del tipo: "il titolo x con il mappone ha venduto 20 milioni di copie = i giocatori in single player vogliono solo mapponi."
Poi magari offri un mappone dove l'unica cosa da fare e' andare a cercare oggetti per gli NPC, salvare gattini ed aiutare vecchiette ad attraversare la strada, una roba tanto divertente che se la facessi da solo a Berlino magari guadagnerei anche qualche spicciolo e rimorchierei pure(anziche' passare 2 ore a capire come buttare Tifa sul letto), anche se non credo mia moglie ne sarebbe troppo entusiasta e a quel punto finirebbe peggio di Resident Evil.
Il motivo per cui RE7 mi e' piaciuto molto, nonostante a mente fredda ne riconosca molteplici difetti, sta proprio nel fatto che il ritmo sia quasi perfetto e che per l'intera esperienza "sorpresa sorpresa" si gioca.
Anche altri titoli con open map come Bloodborne, Dark Souls o God of War per fortuna non soffrono di questo difetto.
 
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Come scritto nell'altro topic, oggi altra bella sessione su Resident Evil 3.

Devo dire che mi sta piacendo parecchio e da una parte, l'idea che non duri molto mi fa quasi piacere. Sto cominciando ad avere la nausea di titoli troppi lunghi e mi mancano quei titoli da 5-6 ore della gen PS3 :asd:
Ma fondamentalmente RE3R non è un brutto gioco, anzi, la struttura alla base è quella del 2R, quindi ha già un punto a favore.

Il problema è che non sono riusciti a ripetere quanto fatto con il 2R; se lì la versione originale veniva espansa e migliorata (con l’aggiunta di nuovo materiale), in questo 3R han fatto l’esatto opposto, non hanno aggiunto nulla (se non la schivata) e hanno fatto parecchi tagli rispetto alla versione originale. Poi la durata limitatissima è un grosso punto a sfavore, 6 ore risicatissime (io l’ho finito a difficile in 5:30 o qualcosa del genere) non valgono il prezzo pieno per quanto mi riguarda.
 
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