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Pickpocket – Jia Zhangke, 1997. Ha i suoi momenti, ma credo che una maggior concisione gli avrebbe giovato. In ogni caso può valere una visione, se non altro per lo scorcio nella Cina di periferia degli anni Novanta, e per la occasionalmente, sorprendentemente buona fotografia.
Vi är bäst! – Lukas Moodysson, 2013. Non spiccherà per ambizione o sofisticatezza, ma è semplicemente perfetto per ciò che vuole essere. Diretto e montato alla perfezione, e trainato da tre protagoniste semplicemente troppo forti. Troppo divertente.
The chess game of the wind – Mohammad Reza Aslani, 1976. L’intreccio è notevole, non tanto per la risoluzione, comunque soddisfacente, quanto per l’audacia con cui sporca i propri personaggi – difatti fu censurato dopo la prima proiezione – eppure fin dalla prima inquadratura è evidente come la più grande forza dell’opera sia la fotografia. In certi frangenti quasi mi dimenticavo di dover leggere i sottotitoli. Impensabile esordire con una perfezione simile.
Ich war neunzehn – Konrad Wolf, 1968. Non ho idea di come lo abbiano tenuto nascosto fino ad oggi perché per me questo è un film capitale sullo sfacelo di tutte le guerre e di tutti i nazifascismi. Impensabilmente autobiografico, lascia un segno indelebile scena dopo scena. La magnifica fotografia e lo straordinario naturalismo delle interpretazioni lo elevano ulteriormente. Capolavoro.
Before sunrise – Richard Linklater, 1995. Semplicemente, magico. La più semplice delle premesse raccontata nel più cristallino dei modi, e non avrebbe potuto essere migliore. Immerso in una delle città che più amo al mondo, un film da sogno per me.
Before sunset – Richard Linkater, 2004. Vive nel riflesso del primo, ma trova un senso proprio in questo.
Before midnight – Richard Linklater, 2013. Nella prima parte gente che non mi interessa dice trivialità imbarazzanti, nella seconda due attori fanno la scena del litigio e girano in tondo. Nel frattempo, mi annoio.
Complici le festività e la reclusione semi-forzata ho trovato modo di ritagliarmi un po’ di tempo anche per alcune serie.
Kaiba – Masaaki Yuasa, 2008. Avvicinandosi al finale l’intreccio prende progressivamente il sopravvento, ed è una scelta che può piacere o meno. Ciò che è fuori da ogni discussione è il puro genio immaginifico di Yuasa nel disegnare un universo al tempo stesso insensatamente ambizioso e quasi irrisorio nella sua elementare perfezione, e nel farcirlo fino quasi a scoppiare di idee che non saprei come altro definire se non aliene. I primi episodi sono praticamente Cinema muto, e ciò ne testimonia la grandezza. Capolavoro.
The last dance – Jason Hehir, 2020. Lo sport si presta per sua natura a narrazioni avvincenti, e l’eccezionalità della figura sportiva e mediatica di Jordan rappresentano probabilmente il miglior materiale possibile per una storia di questo genere. Sono sempre stato abbastanza refrattario al basket e non ho nemmeno davvero vissuto l’era Jordan, eppure The last dance è riuscito a fare breccia anche con me. Difficile non consigliarlo.
Planetes – Hiroshi Ishiodori, Kazuya Murata, Goro Taniguchi, 2003. Mi ci sono molto affezionato, ma neppure io potrei negare l'imbarazzante e dilagante didascalismo né il brutale fatto che nell’ultimo atto deraglia clamorosamente abbandonando ciò che lo rendeva speciale per puntare tutto proprio sui suoi elementi più irritanti e meno convincenti. Arrivato alla fine, credo che gli episodi che mi sono piaciuti siano più o meno tanti quanti quelli che non mi sono piaciuti. C’è un po’ di amaro in bocca, sicuramente, ma tutto sommato sono comunque contento di averlo scoperto, e credo lo ricorderò con affetto.
Tante cose bellissime in questo periodo.
Pickpocket – Jia Zhangke, 1997. Ha i suoi momenti, ma credo che una maggior concisione gli avrebbe giovato. In ogni caso può valere una visione, se non altro per lo scorcio nella Cina di periferia degli anni Novanta, e per la occasionalmente, sorprendentemente buona fotografia.
Vi är bäst! – Lukas Moodysson, 2013. Non spiccherà per ambizione o sofisticatezza, ma è semplicemente perfetto per ciò che vuole essere. Diretto e montato alla perfezione, e trainato da tre protagoniste semplicemente troppo forti. Troppo divertente.
The chess game of the wind – Mohammad Reza Aslani, 1976. L’intreccio è notevole, non tanto per la risoluzione, comunque soddisfacente, quanto per l’audacia con cui sporca i propri personaggi – difatti fu censurato dopo la prima proiezione – eppure fin dalla prima inquadratura è evidente come la più grande forza dell’opera sia la fotografia. In certi frangenti quasi mi dimenticavo di dover leggere i sottotitoli. Impensabile esordire con una perfezione simile.
Ich war neunzehn – Konrad Wolf, 1968. Non ho idea di come lo abbiano tenuto nascosto fino ad oggi perché per me questo è un film capitale sullo sfacelo di tutte le guerre e di tutti i nazifascismi. Impensabilmente autobiografico, lascia un segno indelebile scena dopo scena. La magnifica fotografia e lo straordinario naturalismo delle interpretazioni lo elevano ulteriormente. Capolavoro.
Before sunrise – Richard Linklater, 1995. Semplicemente, magico. La più semplice delle premesse raccontata nel più cristallino dei modi, e non avrebbe potuto essere migliore. Immerso in una delle città che più amo al mondo, un film da sogno per me.
Before sunset – Richard Linkater, 2004. Vive nel riflesso del primo, ma trova un senso proprio in questo.
Before midnight – Richard Linklater, 2013. Nella prima parte gente che non mi interessa dice trivialità imbarazzanti, nella seconda due attori fanno la scena del litigio e girano in tondo. Nel frattempo, mi annoio.
Complici le festività e la reclusione semi-forzata ho trovato modo di ritagliarmi un po’ di tempo anche per alcune serie.
Kaiba – Masaaki Yuasa, 2008. Avvicinandosi al finale l’intreccio prende progressivamente il sopravvento, ed è una scelta che può piacere o meno. Ciò che è fuori da ogni discussione è il puro genio immaginifico di Yuasa nel disegnare un universo al tempo stesso insensatamente ambizioso e quasi irrisorio nella sua elementare perfezione, e nel farcirlo fino quasi a scoppiare di idee che non saprei come altro definire se non aliene. I primi episodi sono praticamente Cinema muto, e ciò ne testimonia la grandezza. Capolavoro.
The last dance – Jason Hehir, 2020. Lo sport si presta per sua natura a narrazioni avvincenti, e l’eccezionalità della figura sportiva e mediatica di Jordan rappresentano probabilmente il miglior materiale possibile per una storia di questo genere. Sono sempre stato abbastanza refrattario al basket e non ho nemmeno davvero vissuto l’era Jordan, eppure The last dance è riuscito a fare breccia anche con me. Difficile non consigliarlo.
Planetes – Hiroshi Ishiodori, Kazuya Murata, Goro Taniguchi, 2003. Mi ci sono molto affezionato, ma neppure io potrei negare l'imbarazzante e dilagante didascalismo né il brutale fatto che nell’ultimo atto deraglia clamorosamente abbandonando ciò che lo rendeva speciale per puntare tutto proprio sui suoi elementi più irritanti e meno convincenti. Arrivato alla fine, credo che gli episodi che mi sono piaciuti siano più o meno tanti quanti quelli che non mi sono piaciuti. C’è un po’ di amaro in bocca, sicuramente, ma tutto sommato sono comunque contento di averlo scoperto, e credo lo ricorderò con affetto.
Tante cose bellissime in questo periodo.