Pure il carcere preventivo basato unicamente sulla presunta pericolosità centra perfettamente il proprio bersaglio. Pure la pena di morte centra il suo (cioè un misto tra una retribuzione e una prevenzione speciale portata all'estremo).Al di là del sistema penale, esistono già dei trattamenti coatti nella nostra società basati su un discorso di pericolosità sociale che contempla una prospettiva di tipo probabilistico. Se sei in preda al delirio paranoide e credi che la CIA ti pedini non puoi mantenere il porto d'armi e se inizi ad agire violentemente è da prendere in considerazione di limitare la tua libertà di nuocere.
Capisco che siano sistemi ricchi di forzature, ma c'entrano il loro bersaglio.
Sulla pena dei detenuti: a che pro fare anni di carcere se alla fine del percorso non sei stato riabilitato? A cosa serve questo castigo?
Il discorso è che la prevenzione non è l'unico elemento della questione e non è possibile tener conto soltanto di quella, come più o meno consapevolmente stai facendo tu.
In linea generale lo Stato non può arrogarsi il diritto di violare un diritto basilare come la libertà personale: il diritto però viene compresso (anche in misura considerevole) quando entrano in gioco altri diritti o altri interessi rilevanti. Il cuore della questione sta nella necessità di limitare al minimo indispensabile la compressione del diritto in questione, limitandosi cioè a quanto permette di tutelare l'altro interesse in gioco.
Quindi la libertà personale del criminale subisce una limitazione perché deve venire bilanciata con l'insieme di interessi tutelati che possiamo inserire nell'insieme generale di sicurezza pubblica. Quando questo equilibrio si modifica oltre un certo limite, cioè quando non sembra più ragionevole limitare la libertà del soggetto rispetto all'effettivo pericolo che questo rappresenta per gli altri interessi, l'individuo in questione viene rilasciato.
Nel caso del TSO, il ragionamento è analogo: il trattamento può andare avanti solo e soltanto finché il paziente è pericoloso per sé e per gli altri al punto tale da far cadere in secondo piano (espressione mia da prendere decisamente con le pinze) il suo diritto alla libertà personale, che quindi può essere compresso e limitato. Il trattamento deve necessariamente finire (o venire gradualmente reso meno restrittivo), in sostanza, quando la limitazione della libertà smette di essere un'extrema ratio. Le critiche al TSO sono appunto relative all'effettiva messa in atto di questi principi di base, perché se è vero che le procedure per approvare il TSO sono in teoria molto garantistiche (non è certo lo psichiatra che decide che Tizio è matto e va rinchiuso punto e basta), nella pratica esistono numerosi casi in cui di fatto viene usato come "parcheggio" per individui che sono problematici ma che, pur con un notevole dispendio di energie e risorse, potrebbero essere trattati al di fuori di un sistema così debilitante (e probabilmente ne trarrebbero più giovamento). Altri ci vedono una forma di carcerazione senza crimine e senza processo, comunque la si voglia pensare non hanno proprio tutti i torti.
Ma stiamo divagando: ribadisco che il TSO in teoria va a tutelare il paziente stesso, quindi nella valutazione complessiva viene anche più semplice limitare la sua libertà perché è a rischio il suo stesso diritto alla vita (o alla salute, dipende), e in quel caso il bilanciamento diventa evidentemente molto più facile che nel caso, per esempio, di un ladro.
Rispetto all'ultima questione: non esiste alcuna utilità nel farsi anni di carcere se non c'è una riabilitazione, è una vendetta inutile e solitamente dannosa perché crea soltanto risentimento, recidività e pure sperpero di risorse sempre meno abbondanti. Banalmente si tratta di un fallimento del sistema carcerario. Non capisco comunque la tua domanda nel contesto: non si può sapere a priori l'esito del percorso, non è che uno viene condannato sapendo benissimo che alla fine della pena sarà tutto come prima.
- - - Aggiornato - - -
L'ambiente cambia anche le pressioni sulle scelte individuali e quindi le scelte stesse, mi pare l'avessimo stabilito pochi post fa. Tu ipotizzavi un sistema scientifico talmente sofisticato da poter tener conto in maniera precisa anche delle variabili ambientali sui soggetti. Tu vedi gli individui, Frost vede i gruppi. Pure escludendo la genetica, più o meno è la stessa cosa. Se non vogliamo parlare di etnie parliamo semplicemente di gruppi più o meno omogenei.Non sono irrealistiche allo stesso modo. Il tuo scenario viene smentito oggi dal fatto che sappiamo già che l'ambiente cambia l'espressione genica. Inoltre non credo sia verosimile immaginare una differenza macroscopica tra diverse etnie.
Che ne so, ipotizziamo lo studio attendibilissimo che evidenzia come i torinesi (dico i torinesi perché se dicessi quello che invece è venuto in mente a tutti noi scatenerei un casino ), magari di un certo quartiere, abbiano una tendenza alla violenza nettamente superiore.
Sempre di utopia parliamo, la quantità (e soprattutto la qualità) delle variabili è tale da farmi pensare che sia impossibile e basta, a dispetto di qualunque avanzamento tecnologico. Tu sembri pensare che una volta arrivati a poter leggere chiarissimamente nella mente delle persone il problema sia risolto, e cioè "ti abbiamo letto nel cervello che sei in delinquente, mo vai in gabbia". E mica tanto invece
Casomai parliamo di un sistema che tiene conto di tutte le variabili soggettive (geni, carattere, etc) e di quelle oggettive (quindi ambientali in generale, che sono mutevoli nel tempo e quindi vanno sapute valutare anche nel loro evolversi).
Tu ipotizzi uno scenario in cui la tecnologia permette di prevedere in maniera affidabile il futuro, né più né meno