Esattamente. Le tabelle salariali dei vari CCNL sono tutte diverse tra di loro, e se le donne lavorano maggiormente in settori in cui i salari sono inferiori, mi sembra lapalissiano che le donne di conseguenza guadagnino di meno.
Infatti il problema è proprio questo. Nonostante le donne rappresentino più della metà della popolazione italiana, sembrano preferire lavori peggio retribuiti. Ora, non so che tipo di giustificazione tu abbia trovato per questo comportamento, ma è perfettamente in linea con chi afferma che le donne faticano ad avanzare di carriera, ad inserirsi in ambienti dove gli uomini sono la maggioranza, raramente si ritrovano ad occupare posizioni dirigenziali. In
questo articolo del Corriere è tutto ben esplicitato: solo 1 donna su 10 è a capo di azienda in Italia. E ricordatevi che quando in Italia parliamo di imprese, non parliamo della Fiat, ma parliamo soprattutto della pizzeria sotto casa, considerando che sono quasi tutte medie e piccole imprese.
E' altresì assodato, che le donne lavorino maggiormente part time rispetto all' uomo per esigenze familiari, quelle stesse esigenze familiari
E anche qui, stesso errore. Si da per scontato che sia la donna a doversi occupare delle esigenze familiari. Non è una scelta di conciliazione spontanea e volontaria, ma fortemente influenzata dalla cultura e dal contesto familiare (ovvero, il marito/compagno che da per scontato sia la donna a doversi occupare di certe cose).
In entrambi i casi, cadi nella trappola che nelle scienze sociali viene chiamata "correlation is not causation", che significa che una correlazione tra due fenomeni non implica necessariamente un nesso causale. E, indovina un po' qual è lo strumento per testare la correlazione e capire se c'è un nesso causale o no? Esatto, la scienza. Scienza che è totalmente ignorata all'interno di questo dibattito, perché esistono da decenni ormai filoni di studi di genere, un'ampia, robusta e – ormai impossibile da ignorare – letteratura che, specialmente in riferimento al mondo del lavoro mostra le diverse forme di discriminazione che allontanano le donne dai posti di lavoro meglio retribuiti, sia in Italia che a livello globale. E pure se metti il naso fuori dagli studi specificatamente di genere, è impossibile studiare il mercato del lavoro in Italia senza scontrarti contro queste disuguaglianze ormai ben documentate.
Aggiungo anche due cose. Questa ossessione – perché di questo si tratta – per la cultura woke è uno specchio per allodole, perché se aprite un qualsiasi motore di ricerca scientifico trovate decine di migliaia di articoli sul tema, supportati da dati, evidenze empiriche di vario genere e l'unica cosa lapalissiana è la vostra ignoranza a riguardo, perché scambiate il dibattito social o politico o le vostre esperienze quotidiane per la realtà delle cose, di un fenomeno, tra l'altro, che vi riguarda solo indirettamente e su cui dovreste avere, quantomeno, l'umiltà di ascoltare.
Seconda questione: quando si parla di congedo parentale, non si considera né un ostacolo, né un qualcosa che dovrebbe riguardare esclusivamente le donne. Storia dei diritti dei lavoratori alla mano ci dice che le donne l'hanno ottenuto più facilmente perché è innegabile il loro diritto a non andare a lavoro (considerando che stanno a letto), ma la parità di genere (ripeto, quella scientificamente supportata) chiede l'estensione del congedo parentale all'uomo, per tre ragioni: a) per dare anche ai padri il diritto di vedere i primi giorni di vita del proprio figlio; b) per annullare il divario uomo-donne che favorisce l'uomo nella carriera (perché al momento è così); c) non è un ostacolo in sé, ma è un ostacolo per le condizioni (non solo, ma soprattutto) italiane (banalmente perché al colloquio ti chiedono se vuoi avere figli e/o dopo una gravidanza non ti rinnovano il contratto o ti licenziano prima e su questo ci sono migliaia di testimonianze), perché la madre è costretta ad essere la figura che si prende in carico i figli e la gestione della casa, quindi il fatto che il padre possa continuare a lavorare è, di fatto, una discriminazione dapprima per l'uomo, ma anche per la donna stessa. A questo si aggiunge il fatto che in Italia molte donne dopo la gravidanza
escono dal mercato del lavoro (e considerando quanto sono basse le nascite e il fatto che le donne sono più del 50% della popolazione, è un dato significativo). Quindi grazie che le donne lo vedono come un ostacolo alla carriera, dati alla mano lo è.
Concludo dicendo che state facendo, nella migliore delle ipotesi, un mischione per far reggere una posizione debole e marginale. Ripeto, aprite un motore di ricerca scientifico (Scholar, per esempio) e leggete degli articoli a riguardo, altrimenti non fate altre che mescolare visioni e narrazioni per costruire uno scenario in cui le rivendicazioni femminili sono una truffa e le donne non sono discriminate. Ma torniamo al punto di partenza (di cui immagino le raggelanti risposte): come mai in una popolazione a maggioranza femminile, popolazione che fino alle scuole superiori ottiene risultati scolastici migliori, poi non si iscrive a corsi STEM, non ambisce a carriere di successo, tende a non avere figli e a preferire i part time? Perché nasce col gene della maternità e la cura? O sarà forse perché la questione è più complessa e culturale di quel che sembri? E a confermarlo c'è la comparazione tra stati, che mostra come ci siano delle variazioni altrimenti inspiegabili. Com'è, in Germania le donne nascono geneticamente portate verso gli studi STEM e in Italia per la cura? Tanto per cominciare,
un articolo che parla proprio di questo di due professori della Sapienza. Giusto per ficcare il naso fuori dalla vostra narrazione non scientifica e ibrida tra esperienze personali, luoghi comuni, sentito diro e interpretazione (quasi totalmente) arbitraria di relazioni tra fenomeni. Ah, per la cronaca, questa è la post verità, non credere che filoni scientifici dicano qualcosa di sensato
