Originariamente Scritto da Sharlaistheway
Ok,errore mio,in quali religioni serie(la wikkan non lo è,prende a caso pezzi delle altre religioni e li mescola senza un ordine e regole precise).L'induismo accetta l'omosessualità solo se chi la pratica ha un matrimonio stabile con una persona del sesso opposto e ha già procreato.Non è ammessa la sola omosessualità.Hai ragione,non ci vuole molto a inventarsi una religione ma sono considerate tali solo quelle che hanno basi storiche e filosofiche il che esclude tutte quelle create nel 19vesimo secolo.Pure il satanismo è più serio di tutte le religioni neo-pagane.
Per me tutte le religioni sono serie allo stesso modo, ovvero non lo sono. Bello come ti vanti di avere una religione meglio di altre. Che poi l'Islam prende pezzi dal Cristianesimo e dall'Ebraismo. E il Cristianesimo ha preso pezzi un po' ovunque. E ti sbagli di nuovo, le religioni moderne non differiscono come serietà da quelle più antiche.
La sharia è degli estremisti,non dell'Islam.
Vorresti dirmi che nel corano non si parla di sharia?
No,nel corano non si parla di Sharia.Parlando della wikka essa prende dalle religioni ciò che gli fa più comodo,senza alcuna regola precisa,non è seria perchè non ha basi.Tutte le religioni "canoniche"hanno le stesse basi.Cristianesimo,Ebraismo,Induismo,Islamismo,per passare a quelle ancora più antiche come ad esempio lo Zoroastrismo,il Vedismo etc,hanno tutte le stessi basi e vanno poi differenziandosi col tempo.In ordine temporale l'Islam è l'ultima delle grandi religioni che reinterpretano miti passati(es.diluvio universale)e costruiscono una propria dottrina rifacendosi alle più antiche religioni.La wikka non è niente di tutto ciò,prende in modo edonistico parti delle varie religioni senza alcuna logica.
xSorrow.Tratto da Wikipedia.La questione dell'ijtihād
Centrale è la questione dell'interpretazione del Corano e degli altri testi di riferimento islamici.
Quali strumenti avrà infatti la cultura islamica per accettare un sistema di valori sociali e di produzione economica d'impronta diversa, tendenzialmente improntata a valori "laici"?
In mancanza di un clero che possa indicare senza ombra di dubbio cosa sia peccato e cosa non lo sia, cosa sia bene e cosa sia male, cosa sia ben visto da Allah e cosa Allah vieti, l'Islam ha creato nel suo sviluppo storico un peculiare strumento interpretativo (l'ijmāʿ, o "consenso" dei dotti) col fine di determinare le norme che dovranno adottare tutte le società che intendano qualificare se stesse come islamiche.
Il primo pilastro è infatti il Corano del quale tuttavia è difficile dare altra interpretazione che non sia quella letterale. Il secondo pilastro, altrettanto difficile da indagare al di là della lettera, è l'insieme delle tradizioni giuridiche (ḥadīth) che compongono la Sunna, più duttile del Corano per indagare se un certo comportamento sia o meno da considerare il linea con i valori dell'Islam.
La massa delle tradizioni prodottasi nell'ambiente religioso islamico è però davvero gigantesca e rende di per sé assai difficoltoso un responso preciso e univoco, poiché è molto frequente il caso di tradizioni in aperta contraddizione tra di loro. Una tradizione generalmente riconosciuta autentica dall'Islam afferma però che Muhammad avrebbe detto: «La mia Comunità non si troverà mai d'accordo su un errore». Ciò ha portato appunto alla costituzione del pilastro dell'ijmāˁ, inteso come consenso delle scuole giuridiche (madhhab, pl. madhāhib) e dei dotti giurisperiti (faqīh, pl. fuqahā’) che le hanno animate e seguitano a vivificarle.
Il parere dei giurisperiti è il laborioso frutto di un'attenta analisi dei dati coranici o, in seconda battuta, di quelli della Sunna. Per far questo si ricorre alla linguistica, alla storia o alla logica e lo sforzo interpretativo si chiama ijtihād: parola che non a caso assomiglia a jihād, provenendo dalla medesima radice trilittera araba che significa "sforzarsi, impegnarsi".
Una volta che l''ijtihād sia stato espresso e risulti tanto convincente da aggregare intorno a sé un vasto consenso, quella interpretazione avrà allora pieno valore di legge, almeno fin quando non si crei un diverso consenso, elaborato da una nuova e diversa maggioranza.
Ciò che fino a un certo momento storico è quindi giudicato rispondente alle necessità della società non è detto quindi che sia intangibile e immutabile, visto che sarà il "consenso" a intervenire, modulandosi, sulle nuove necessità della società islamica, purché non in contrasto con Corano e Sunna. Si formerà allora un nuovo e diverso ijtihād che avrà cogenza legale.
Un accentuato conservatorismo ha portato a una scarsa flessibilità del pensiero islamico, poco incline a rivedere in profondità alcuni aspetti del suo pensiero e favorevole a riproporre piuttosto modelli comportamentali ed etici fortemente conservatori, visti come legati alla prima e migliore traduzione della Umma islamica delle origini.
Ciò non è però sempre stata una regola senza eccezioni e la storia del mondo islamico, anzi, è stata caratterizzata da momenti di grande innovazione, pur nel quadro anzidetto.
I movimenti maggiormente inclini all'ijtihād sono quelli che fanno capo allo Sciismo e al hanbalismo. Il "dotto" sciita è infatti, non a caso, chiamato "mujtahid" e la sua capacità d'intervenire con grande coraggio interpretativo viene spiegato col fatto di essere in ineffabile rapporto con l'Imām occultatosi agli occhi del mondo e in attesa di manifestarsi alla fine dei tempi. Il pensiero del hanbalismo e del neo-hanbalismo si è espresso negli ultimi decenni in particolare attraverso l'opera di Ibn Taymiyya, teologo e giurista vissuto in età mamelucca nel XIII secolo della nostra era. Tale scuola teologico-giuridica rivendica decisamente il proprio diritto-dovere di ricorrere all'ijtihād e non è quindi strano che proprio lo Sciismo e il neo-hanbalismo "salafita" siano stati indotti, più di altri nel mondo islamico, a tentare un'operazione di "islamizzazione della modernità", secondo la fortunata espressione usata dallo studioso algerino Mohammed Arkoun, che potrebbe in teoria condurre a una forma di "modernismo" maggiormente in grado di dialogare col resto del mondo non islamico, una volta depuratosi dalle tendenze terroristiche.Dopo tutta questa filippica si evige che il VERO problema dell'Islam è la mancanza di un'organizzazione religiosa ufficiale che interpreti i testi.Senza di essa a far da guida l'interpretazione letterale è la più usata in quanto la più semplice da attuare ma non mancano persone che cercano di interpretare il Corano purtroppo manca sempre un'interpretazione ufficiale che invece è presente in tutte le altre religioni.