Allora, oggi pomeriggio ho visto al Far East Film Festival di Udine “The Kingdom of Dreams and Madness” in lingua originale sottotitolato Inglese (anche Italiano, ma si vedeva/leggeva malissimo purtroppo e distoglieva troppo dal vedere le immagini), quindi ho spolverato il vecchio file English nel mio cervello.
Non lo consiglio ad un pubblico adolescente o a chi vuole continuare ad associare Miyazaki e lo Studio Ghibli ad un mondo di carattere fiabesco, pensandoli Sì come autori delle opere stupende che conosciamo ma forse involontariamente immaginando loro come se fossero a loro volta come quei personaggi disegnati.
Lo consiglio invece agli appassionati e fan realistici di queste opere e del / dei grandi maestro/i, che hanno davvero voglia di guardare dietro il sipario. Si tratta di un documentario e per quanto credo sia stato fatto in modo clemente, mostra comunque diverse sfaccettature che già leggendo certi articoli qua e la, si percepivano.
Ci sarebbero tante riflessioni da fare, ma non ho voglia di scrivere un romanzo e sono anche un po’ stanchino.
Sicuramente mi ha colpito e lo rivedrò volentieri (in Italiano) se lo dovesse far vedere alla TV. Ti fa riflettere, anche sulla società giapponese, perché si percepisce che sono ben diversi rispetto a noi.
Per quanto molti aspetti mi piacciono, credo che nel complesso mi andrebbe troppo stretto. Troppo padronale, patriarcale, rivolto verso l’autorità (non mi vengono gli aggettivi appropriati).
Si intuisce anche che da loro l’Anime, come da noi (o almeno in Germania) il cabaret, costituisce uno spazio che ti permette di uscire dagli stereotipi e dai canoni di quella società, affrontando anche argomenti scomodi (protezione della natura, antimilitarismo, ecc.) e per quanto Miyazaki mi dia l’impressione di essere un datore lavoro padrone col quale non saprei se riuscirei andare d’accordo, è comunque anche uno di visione aperta, da idee politiche dello stampo verdi o sinistra. Si capiscono le sue preoccupazioni.
I discorsi che fanno sono sottili, di poche parole, ma sono molto profondi e pesanti.
Come nel terzo Reich o nella Germania dell’Est, si dicono pochissime parole e il resto della “conversazione” avviene in silenzio per affinità di pensiero.
Ripeto, ci sarebbero tante cose da dire, anche trattando altri aspetti del film, che come avete intuito è assai profondo, se uno vuole cogliere i vari aspetti e ascolta attentamente cosa viene detto, come si comportano le varie persone, come si presenta l’ambiente.
Ancora una cosa che colpisce: il rapporto con ossia l’influenza che ancora oggi esercita la figura paterna su Miyazaki. Uno direbbe che un uomo di 72 anni passa abbia da tempo tagliato la corda ombelicale col padre invece si percepisce di quanto ancora oggi Miyazaki nella sua sensibilità è influenzato dalla figura di suo padre.
Bene, mi fermo qua. Non credo aver spoglierato proprio un bel niente.
Ripeto: film consigliatissimo a chi, magari trascinato dalla visione delle loro opere (come me), vuole approfondire la conoscenza di Miyazaki e dello Studio Ghibli con i suoi vari protagonisti che trovano bene anche loro lo spazio nel film.