Visto ieri sera in sala all'ultimo spettacolo possibile in 70mm. Tutto strapieno, trovo un posto buono, subisco la pubblicità in stile Malick della Mercedes, rivedo il trailer di The Revenant che azzecca il gusto della sopravvivenza e vendetta più del film. Prima dello spettacolo viene spiegato con molti cartelli la storiella del formato, addirittura *ci si scusa* per il flickering. Che tempi.Quello che davvero mi è piaciuto del film, oltre aspetti più specifici su cui tornerò, è la carica di sperimentazione che Tarantino continua a mettere sul piatto. Ne parlava anche nelle interviste, anche se non ricordo in che termini. Tarantino ritorna sempre sulla sua violenza cercando di trovarne, o costruire quando necessario, i margini espressivi. Anche in Django si era spostato su un piano abbastanza cerebrale che faceva risaltare "il messaggio", con lui che non sopporta la situazione sociopolitica che sta vivendo e deve sabotarla scatenando il putiferio. In The Hateful Height le correnti della schiavitù e guerra civile (vi consiglio questo articolo,
https://libcom.org/history/lincoln-emancipation-howard-zinn) non aderiscono con la stessa puntigliosità ai movimenti della storia, Tarantino li fa tornare a ondate tra una presentazione e l'altra dei personaggi, i quali entrano in scena con quel gusto posticcio di un film multi focale e interconnesso in cui tutti (non) conoscono tutti e ad ogni nuovo strato di rivelazioni si riposizionano quasi automaticamente. Capisco possa infastidire perché non è per niente plausibile e in diversi momenti la macchinosità diventa giocoforza eccessiva ma si tratta di una scelta precisa. Ritornano quindi tutte quelle problematiche razziali e politiche complessificate dalla promessa di violenza che verrà a sconvolgere gli schieramenti e che a sua volta può iniziare solo perché sotto una banale divisione nord sud si agitano una moltitudine di forze specifiche. Questa è una delle più importanti intuizioni che Tarantino ha nel restituire il periodo. Per non citare il finale gloriosamente demitizzante.
Quando la violenza arriva lo fa con la stessa potenza che il resto del film ci ha già regalato, un sonoro da brivido durissimo che non lascia spiragli consolatori. Non so giudicare l'originalità di Morricone ma di sicuro aderisce perfettamente all'idea che attraversa il film. E poi c'è il vento che è uno spettacolo, abbastanza scandaloso che non sia nominato per il mixaggio sonoro.
Il 70mm fa la sua figura d'eccezione. I visi degli attori sono strepitosi, morbidi e tridimensionali. Le tonalità di blu negli esterni con il bianco che sfarfalla da rivedere all'infinito.
Ricapitolando, è un film meccanico a tratti che ripercorre spesso le tecniche base di una sceneggiatura ma senza dimenticare il rispetto verso le passioni cangianti dei suoi personaggi. Film così li sa fare solo lui e ce n'è grande bisogno.