AVVISO AI NAVIGANTI: le righe che seguono possono contenere spoiler. Relativo, ma pur sempre spoiler.
The Legend of Zelda: A Link Between Worlds può essere considerato come una sorta di seguito (nota: la linea temporale dei titoli della serie è ancora oggetto di discussione da parte di esperti, meno esperti e neofiti, non parlo di un seguito temporale ma "tecnico", e presto capirete perché) diThe Legend of Zelda: A Link to the Past, uscito nel 1991 e terzo capitolo per SNES della serie nata su NES con The Legend of Zelda (1986) e il pessimo Zelda II: Adventure of Link (1987) che tutti gli amanti della serie (o almeno io) ricordano come si ricorda il bagno di casa dell'amico dove hai passato il capodanno con 30 persone e 90 bottiglie di alcool svuotate. Giocai A Link to The Past per la prima volta nel 1997, o meglio guardai il mio migliore amico giocare questo titolo nel 1997, quando i giochi erano solo in inglese e chiunque in casa conoscesse l'inglese era capace di tradurre alla lettera i dialoghi ma non riusciva a farci capire cosa cavolo fosse la Triforza, chi fosse Ganon e perché una sorta di elfo in tunica verde dovesse andare in giro per una regione (e una parallela) perfettamente quadrata a tirare spadate. Poco ci importava però, pur non capendo una mazza di quel che avevamo davanti, pur girando a tentoni in quei dungeon che sembravano sconfinati e pieni di stanze, pur conoscendo solo vagamente il concetto di logica consequenziale basilare per affrontare un gioco del genere, andavamo avanti e completammo il gioco nel breve giro di posta di 7 mesi, in cui però vanno considerati elementi come "a letto alle 21.30", "non giocate più di un'ora al giorno", "andiamo a giocare al parco" e il fatto di poterci vedere solo nei week-end.
Successivamente, dopo il classico periodo della seconda parte delle elementari in cui mio zio mi regalò la tanto agognata Playstation e nel quale quindi tutto il mondo Nintendo (Pokémon a parte) fu buttato dalla finestra (leggi: regalato ai cuginetti piccoli), una volta rinsavito rigiocai A Link to The Past nella versione per Game Boy Advance, del tutto identica all'originale con in più la lingua italiana e un subgioco multiplayer sulla sua falsariga (The Four Swords), e poi altre N volte su emulatori vari (avanti, denunciatemi, voi con i vostri iPod pieni SOLAMENTE di musica legalmente acquistata da iTunes o che vedete film SOLAMENTE al cinema o in DVD o in Blu-ray o che non avete MAI visto una partita di calcio in streaming).
A Link Between Worlds è, come concetto, esattamente ciò che speravo fosse: un gioco con meccaniche molto simili, anche se non identiche, a A Link To The Past aggiornato di una ventina d'anni. Gli sprite si evolvono in poligoni, i MIDI diventano orchestre, ma la mappa di gioco è la stessa, lo schema di gioco è lo stesso (vaga-cerca dungeon-affronta boss-recupera portacuori) e l'atmosfera è esattamente quella di 22 - ventidue - anni fa, con lapossibilità di entrare nei muri che amplia il ventaglio delle possibilità. Prendete le musiche, i temi sono gli stessi negli stessi luoghi, eseguiti con gli stessi arrangiamenti ma aggiornati con nuove parti melodiche come a dire "voi che avete giocato il vecchio state bboni che avete il vostro, ma non possiamo farvi una fotocopia migliorata ebbasta". È meraviglioso girare per Hyrule in visuale a volo d'uccello ascoltando e canticchiando la celebre marcetta di sottofondo, è meraviglioso andare a colpire le galline per poi dover scappare alla velocità della luce prima di schiattare, è meraviglioso sentire il suono che avverte di essere rimasti con pochi cuoriODDIOFAMMENETROVAREQUALCUNOPRIMACHESBATTOPERTERRAIL3DSPERFARLOSTAZZITTO.
Ma qualcosa dovevano pur cambiare, ed è un cambiamento piuttosto radicale. In tutti -tutti - i capitoli della serie, ogni dungeon veniva risolto grazie esclusivamente a un oggetto (arco, arpione, martello e via dicendo) che si trovava all'interno del dungeon stesso, tanto da far porre domande sull'effettiva intelligenza del cattivo di turno nel seminare artefatti cotanto preziosi all'interno degli inespugnabili labirinti. In A Link Between Worlds questo meccanismo è totalmente abolito: tutti gli oggetti (dall'inutile boomerang alla devastante Bacchetta del Fuoco) sono disponibili sin praticamente dall'inizio del gioco in una bottega e si possono avere a noleggio, vale a dire mantenuti nell'inventario fino a che non si viene sconfitti, per una manciata di rupie, o addirittura acquistati per una manciata assai più grande di rupie, che si trovano disseminate per Hyrule in quantità tale che se questo mondo fantastico avesse un sistema economico decente, si avvilupperebbe su se stesso in 5 minuti, schiacciato dall'inflazione. "Ah, ma quindi posso perdere intere settimane di lezioni all'università/lavoro a sfoltire erba per trovare rupie e comprarmi tutte le armi prima di iniziare il gioco, che figata!". Oppure "Che palle, ma così si perde la metà del gusto, è troppo facile!". Esatto, ma non c'è bisogno manco di questo: semplicemente procedendo nell'avventura vi imbatterete in un numero di rupie talmente elevato da, anche nel malaugurato caso di morte prematura del nostro caro Link, poter noleggiare nuovamente tutto l'occorrente rimanendo con finanze sufficienti per mantenere moglie, amante e un paio di pargoli cibandoli con pozioni della strega o ampolle di latte. Anche perché quando crepate, il gioco vi propone di ripartire dal negozio stesso e il sistema di teletrasporto vi riporterà al dungeon che stavate esplorando in un tempo minore rispetto ai sette secondi di youssundouriana memoria.
Tolta questa variante che ognuno può giudicare come meglio crede, è impressionante come un gioco di una serie di per sé sempre simile a se stessa (trovatemi Jovanotti e fateglielo leggere) come meccaniche, magari ampliate come con la navigazione in The Wind Waker o il volo in Skyward Sword, possa ogni volta catturarmi e tenermi incollato lì finché il mio cane non mi implora di uscire minacciandomi indirettamente brutte sorprese in mezzo al corridoio. Bellissimo, mi appollaio sulla poltrona, risolvo un dungeon dietro l'altro e…
Un attimo.
Sto risolvendo un dungeon dietro l'altro.
Uno dietro l'altro.
Ecco la magagna.
Il gioco ÈCCORTO.
"Ma puoi metterti a cercare i frammenti di cuore e a fare le quest secondarie!"
ÈCCOMUNQUECORTO.
"Ma una volta completato lo puoi ricominciare in modalità più difficile!"
ÈDDUEVOLTECORTO.
Cavolo, non è possibile che, mentre metto ad aggiornare il mio nuovo WiiU comprato da un gommista vicino al Policlinico, pensi "vabbè dai, mentre aggiorna cominciamo un dungeon" e mi ritrovi ad averlo finito prima ancora che terminasse l'aggiornamento della console, con ancora il tempo di salutare gli amici di mia madre che vanno via, e di farmi un toast. Sono lineari quasi quanto un livello di un Mario 2D, mai mi sono trovato a bestemmiare alla ricerca della soluzione a chissà quale enigma, a volte neanche guardavo la mappa per decidere da che parte andare. E se pure avessi avuto meno intuito di quello di cui dispongo, al costo di una "moneta di gioco" (quella valuta fittizia che si ottiene portando a spasso la console) dei simpatici fantasmini mi avrebbero indicato la via. Così non va proprio, certo non voglio passare 2 settimane in un dungeon come la prima volta che ho affrontato il Water Temple diOcarina of Time (che non era così difficile, ma la prima volta fu talmente traumatica da continuare a credere in questo mito per nove anni), ma manco entrare, sconfiggere il boss di turno e uscire nel tempo in cui l'acqua bolle senza che io la guardi, perché se la guardi stai sicuro che farai prima a ordinare una pizza e a fartela consegnare direttamente da Napoli.
Hyrule (e non solo) viene quindi salvata per l'ennesima volta in un venerdì-domenica-lunedì-martedì di gioco (sabato niente sarebbe stato meglio dell'Everton-Liverpool dell'ora di pranzo, per cui ho rinunciato), sicuramente intenso ma non esasperato. Non contavo di metterci 7 mesi viste le mie capacità cognitive probabilmente migliorate in 16 anni di vita, ma neanche di potermici riempire appena un ipotetico ponte allungato da un giorno di malattia congestionato oltretutto da un turno di campionato.
Mi sono quindi mangiato un dolcetto, una pastarella. Dolcissima, ricca di gusto, ma ingoiata dopo un morso. A dire il vero il dolce a me manco piace, ma l'unico parallelo salato della pastarella che mi viene in mente sono i Montaditos su cui meglio non riaprire discorsi. E alla fine va bene così, perché mangiarsi una torta intera fa male, è troppo dolce, troppo calorica, troppo… troppo… mi sa che mi tocca tornare in pasticceria.