È da un po' che non scrivo, scorrendo velocemente il mio diario Letterboxd:
The rescue – Elizabeth Chai Vasarhelyi, Jimmy Chin, 2021. Storia miracolosa, speleologia subacquea, difficilmente non mi avrebbe toccato, però un po' manipolatorio nonché sospetto anglocentrico, considerando che c'erano soccorritori di varie altre nazionalità che vengono a malapena elencati.
La spiaggia – Alberto Lattuada, 1954. Importante per l'epoca, fa il paio con il successivo
Adua e le compagne (1960) di Pietrangeli se vogliamo, che ne rappresenta quasi un contrappunto post-legge Merlin che arriva nel '58. Lo sviluppo non riserva particolari sorprese salvo il finale, comunque ben realizzato e meritevole di essere preservato.
Where the wild things are – Spike Jonze, 2009. Revisione. Jonze per me è uno dei registi più sottovalutati degli ultimi venticinque anni, e questo senza dubbio il più sottovalutato dei suoi lungometraggi. L'anno prossimo
Her compirà 10 anni, e noi continuiamo ad aspettare...
The martian – Ridley Scott, 2015. Revisione. Il volemosebene USA-Cina finale mette imbarazzo per la sua completa assenza di sottigliezza propagandistica, comunque al di là di qualche battutina a vuoto resta intrattenimento
hard sci-fi di buon livello che si lascia rivedere volentieri.
The other side of the wind – Orson Welles, 2018. Diciamo che avrei tagliato quasi completamente il film nel film perché l'ho trovato non-ironicamente pessimo e blocca troppo e troppo spesso tutto il flusso narrativo. Il resto invece favoloso con un John Houston che manco si capisce se stia recitando o se sia effettivamente così. Semplificando in maniera brutale, fra un film da 9 e un film-nel-film da 4 l'impressione generale mi è risultata sfortunatamente media. Comunque valeva la pena di recuperarlo.
Majo no takkyūbin (
Kiki – Consegne a domicilio) – Hayao Miyazaki, 1989. Terza visione. Uno dei miei film preferiti. Iniziai a capirlo veramente solo dopo essermi trasferito per vivere da solo all'università, e nella sua deliberata semplicità c'è quasi tutto dentro. Adesso forse mi tocca un po' meno direttamente ma resterà sempre e comunque un film molto importante per me.
They’ll love me when I'm dead – Morgan Neville, 2018. Come letto in qualche commento qui e là in rete, è un po' un peccato che non tocchi affatto tutta la parte legata ai diritti e al montaggio del film, che l'ha portato alla pubblicazione da parte di Netflix oltre quarant'anni dopo la fine delle riprese. Comunque fa il suo lavoro nel raccontare il processo (o caos) creativo, e riesce ad evitare di scadere in un'agiografia di Welles cercando anzi di rilevarne gli aspetti problematici, le difficoltà nel relazionarsi con i collaboratori e l'ambiente, il rischio di paralisi del perfezionismo, etc. Ben realizzato, fa un buon accompagnamento al film.
The social network – David Fincher, 2010. Terza o quarta visione, ho perso il conto. Incredibile quanto non sia invecchiato, nonostante siano trascorsi ben dodici anni nei quali si direbbe che tutto sia cambiato. La sceneggiatura resta affilatissima, la colonna sonora indimenticabile, il ritmo irresistibile. Non ci si stanca di rivederlo.
The Batman – Matt Reeves, 2022. Mi è piaciuto Pattinson e mi è piaciuto il suo Batman, la sua profonda tristezza, la sua irrimediabile solitudine, la sua metodicità e il suo autolesionistico spirito di sacrificio. L'
incipit fa anche un ottimo lavoro nel presentare il personaggio dalla prospettiva delle sue vittime – bellissime quelle carrellate verso le ombre, accompagnate dal suo monologo. Purtroppo dopo un sorprendentemente promettente primo atto inizia il solito minestrone cinefumettoso di personaggi e situazioni visti e rivisti fino alla nausea, sottotrame prive di interesse per chiunque, colpi di scena a vuoto, e un finale anticlimatico né convincente. Alla fine si arriva con una palpabile stanchezza, esacerbata dall'ennesima riesumazione del cattivone di turno già messo in caldo per il seguito, a cui ormai non si riesce più a credere.
The French dispatch – Wes Anderson, 2021. Visto, gradito e dimenticato.
Ho poi visto
Osama ranking (
Ranking of kings) che clamorosamente ha trasmesso l'ultimo episodio esattamente nel giorno in cui ci sono arrivato io, cioè ieri.
Lo straconsiglio perché l'animazione è eccezionale (sembra qualcosa che lo Studio Ghibli degli anni Ottanta avrebbe potuto produrre con le tecnologie di oggi) e perché riesce a commuovere in modo semplice ma profondo,
MA voglio anche far presente che nella seconda metà della serie le cose cominciano a sfuggire un po' troppo di mano e che questo purtroppo gli impedisce di ambire a livelli alti. Troppi
deus-ex-machina, troppi
fake-outs, troppi voltafaccia repentini, ripetuti e immotivati, redenzioni troppo facili, frequenti e quasi mai sufficientemente preparate, specialmente nel finale, rapporti di forza estremamente discutibili, tutti elementi che culminano in due episodi finali in cui diversi nodi vengono sciolti in maniera tanto frettolosa e incoerente che questo non può non ripercuotersi almeno in una certa misura su quanto visto fino a quel momento. Vorrei vedere la storia e i personaggi andare avanti perché resta comunque una visione particolarmente piacevole (e lo farà, perché ci sono ancora molti e importanti punti aperti e la serie è stata un successo) ma purtroppo temo che i presupposti narrativi siano ormai in parte compromessi e che dietro non ci sia una mano capace di mantenere (o meglio, riprendere) il controllo. Nota di merito per tutte le sigle di apertura e chiusura, non le ho saltate nemmeno una volta e non contento me le sono pure ascoltate a ripetizione a TV spenta, a volte piagnucolando.