Da quanto non commento?
Ma sto anche vedendo proprio poco... Brevemente, da dicembre a oggi scorrendo il mio diario Letterboxd.
Le sommet des dieux – Patrick Imbert 2021. Non capisco bene la scelta di fare un anime in Francia ma è comunque ben realizzato, la storia è semplice semplice ma sa essere una visione catartica nel suo piccolo.
Titane – Julia Ducournau, 2021. Per me incomprensibile dove volesse andare a parare, il tutto ulteriormente confuso da un tono cupissimo che carica a dismisura qualsiasi cosa succeda (e succedono cose a caso), davvero troppo strano anche solo per dire se mi sia piaciuto o meno.
La signora senza camelie – Michelangelo Antonioni, 1953. Dà il suo meglio nella prima parte, una bellissima rappresentazione dell'industria e dei mestieri cinematografici nonché della vita che vi orbita attorno, con una sincera commistione di passione e amarezza e non senza punte di sottile ma tagliente comicità. L'intreccio melodrammatico è niente di peggio di tanti altri identici, ma non è ciò su cui il film avrebbe dovuto concentrarsi per una buona metà del tempo a sua disposizione. Elegantissimi guardaroba e acconciature. Bellissimo vedere il Cinema ritrarre la Mostra del Cinema di Venezia, e quanto poco questa sia cambiata in settant'anni – il che la rende, se possibile, ancora più magica.
Il grido – Michelangelo Antonioni, 1957. Crudo ma misurato, persone e vite imperfette in un solido dramma post-neorealista.
Peppermint candy – Lee Chang-dong, 1999. Punta tutto sulla
gimmick del montaggio al contrario per suscitare un qualche interesse in una storia di per sé troppo blanda e stereotipata (non ci riesce).
Top gun: Maverick – Joseph Kosinski, 2022. Diverse belle sequenze d'azione adrenaliniche e stunt impressionanti. Con tutti i limiti del più quintessenziale dei blockbusteroni nostalgici hollywoodiani ma quello sta praticamente scritto nel titolo.
Saturday night fever – John Badham, 1977. È... scritto molto bene?!? Paradossalmente la parte di gran lunga peggiore sono i tremendi balletti, a dir poco maldestri nell'esecuzione, coreografati male e girati se possibile peggio. Lo spaccato sulla vita di periferia, il desiderio e l'impossibilità di riscatto fra la limitatezza della gente e le zavorre sociali e culturali, sanno invece far male. La sincerità e la vulnerabilità di Tony Manero sono la perfetta sintesi di un film che ha molto da dire e il cuore per farlo. Assolutamente da riscoprire.
La stanza del figlio – Nanni Moretti, 2001. Drammone recitato da cani sul lutto dello psicoanalista, scusatemi ma non ce la posso fare.
Avatar: The way of water – James Cameron, 2022. Girato nel futuro ma pare scritto negli anni Ottanta, lo spettacolo visivo c'è ma ci si abitua in fretta. Per qualche ragione mi sono piaciuti i personaggi del protagonista e dell'antagonista. All'annosa domanda, ma tre ore non saranno un po' troppe?, la risposta è ovviamente sì.
Everything everywhere all at once – Daniel Scheinert, Daniel Kwan, 2022. Mi verrebbe da dire che forse è giusto un po'
troppo, ma mi rendo conto che è letteralmente il nome del film per cui viene difficile criticarlo per questo. Il
nonsense dopo un po' ha iniziato a stancarmi ma dal punto di vista tecnico è effettivamente impressionante.
Pinocchio – Guillermo Del Toro, Mark Gustafson, 2022. Rilettura inaspettatamente coraggiosa di un classico, per molti aspetti un buco nell'acqua ma ne apprezzo lo spirito.
Bonus: stamattina avevo iniziato a vedere
One piece film red per cui avevo una certa aspettativa ma la quantità di balletti didascalie e retcon non canonici né tantomeno richiesti mi hanno sconfitto (in tipo 10 minuti).