Toh, del qualunquismo da quattro soldi
Se un bambino preferisce il virtuale in un ambiente pieno di stimoli naturali il problema esiste, è un argomento molto serio in ambito educativo e neuroscientifico, non credo sia qualunquismo.
Riguardo al "
portable":
Oggi si cerca di
miniaturizzare l’integrale, come prendere “2001: Odissea nello Spazio” e guardarlo durante una pausa sigaretta da un tablet...
C’è un che di offensivo nel voler comprimere opere pensate per un certo spazio emotivo e tecnico, solo per renderle “accessibili ovunque”.
Il
Game Gear citato prima o il
DS/GameBoy/PSP erano portatili sì, ma figli di un’epoca in cui il portatile era una
forma diversa, non una copia ridotta. Erano console nate per il portatile, con giochi pensati
per quel formato, non versioni mini di qualcosa più grande.
Sonic Triple Trouble sul Game Gear,
Elite Beat Agents sul DS... erano esperienze disegnate per quelle mani, quello schermo, quella visione.
Il problema è quando si cerca di comprimere esperienze pensate per l'immersione totale in uno schermo da 7 pollici...
Giocare non è come scrollare TikTok.
Non è nemmeno come ascoltare musica.
È un atto di presenza totale: motorio, cognitivo, emotivo.
Quando accendi una console, non stai "guardando qualcosa",
stai entrando da qualche parte.
Quel luogo virtuale, ma concreto, chiede di essere abitato. E come ogni luogo
sacro,
richiede un tempo, un silenzio, una preparazione.
Come si entra in un cinema con le luci spente e il cellulare in tasca, così si dovrebbe entrare in un gioco:
non con fretta, ma con intenzione.
Il gaming portatile moderno, quello da pausa caffè, uccide questo ingresso. Lo riduce a un click, a un atto senza peso.
Ma un gioco senza ingresso è un’esperienza senza profondità.
Giocare su un portatile in treno o in bagno
non è la stessa cosa, perché il corpo è distratto. Non sei
dentro, sei sospeso. E il gioco non ti attraversa.
Non basta vedere un gioco per giocarlo. Bisogna esserne posseduti.
Si sta togliendo valore all'attenzione.... nel gaming moderno l'attenzione viene spesa senza pensare e cosi si vuole rendere il gaming un fast food per la mente.
Il
rito del sedersi, invece,
è un atto di offerta: “
Adesso tu hai il mio tempo. Hai la mia attenzione. Hai il mio rispetto.”
E come ogni offerta, dà qualcosa in cambio:
coinvolgimento reale,
memoria profonda,
crescita interiore.
Quante volte ricordiamo giochi finiti dieci anni fa più di quelli toccati ieri?
Come si entra in un cinema con le luci spente e il cellulare in tasca, così si dovrebbe entrare in un gioco: non con fretta, ma con intenzione.
Il gaming portatile moderno, quello da pausa caffè, uccide questo ingresso. Lo riduce a un click, a un atto senza peso.
Ma un gioco senza ingresso è un’esperienza senza profondità.
Il videogioco, nella sua forma più pura, richiede un investimento.
Non solo tempo, ma
attenzione indivisa.
Non puoi davvero giocare a
Returnal, a
Cuphead, a
Ninja Gaiden mentre rispondi a messaggi, controlli la batteria e tieni un occhio sul fornello.
Questi giochi sono
riti di concentrazione totale, ma vale anche per un
Oblivion ad esempio e la sua immersività che non vuole sia interrotta da qualcosa.
Quando giochi in treno, con le cuffiette e la connessione ballerina, il gioco diventa un rumore di fondo. È come cercare di leggere
Proust su TikTok: puoi farlo, ma stai tradendo l’essenza dell’opera.
Con Switch o Steam Deck puoi giocare a
Bayonetta,
Metroid Dread,
Hollow Knight. Capolavori!
Ma quando li giochi in piedi sull’autobus, tra le vibrazioni del tram, l’odore del panino di qualcun altro e l’altoparlante che annuncia ritardi…
sei davvero lì dentro? Queste macchine spingono il mito dell’
anywhere, anytime. Ma un gioco profondo/denso/tecnico, non vuole “anytime”.
Vuole il
tempo giusto. Vuole che tu ti sieda. Che tu lo guardi negli occhi. Che tu dica: “
Adesso ci sei solo tu.”
Portare
Bayonetta in bagno o
Dark Souls sul treno è come proiettare
Blade Runner su uno smartwatch....
Puoi farlo. Ma stai uccidendo il linguaggio.
Il gaming vero non è “
facile da consumare”.
È difficile da abitare.
Chiede tempo. Chiede presenza. Chiede rispetto.
L’attenzione è una forma di amore.
E come ogni forma d’amore, richiede esclusività.
Attenzione: non è una crociata contro le portatili in sé.
Lo era
anche il Game Boy. Lo era il DS.
Ma quei giochi erano progettati per tempi brevi, per pause compatte, per un design “a moduli”.
Un
Advance Wars, un
Picross, un
WarioWare: perfetti in mobilità.
Ma oggi si cerca di
trasportare l’esperienza da console fissa
in contesti che la svuotano.
Si chiede a
Luigi’s Mansion 3 di funzionare tra due fermate della metro.
A
Triangle Strategy di farsi capire tra una chiamata e l’altra. Questo è il vero problema.
Quando il videogioco smette di essere
un evento e diventa
una compagnia di sottofondo, la sua dignità crolla.
Non perché il gioco valga meno.
Ma perché il giocatore gli offre meno.
E se non sei
tutto lì, non potrai mai ricevere tutto ciò che il gioco ha da darti.
È il gioco a doversi adattare alla piattaforma, non viceversa.
Questo concetto è stato condiviso anche da Tomonobu Itagaki, Satoru Iwata (nel 2011), Ken Levine e Phil Spencer (nel 2024 frall'altro...).