Provo ad aggiungere qualcosa su alcuni film visti a Venezia, ci sarebbero anche altre visioni su cui volevo scrivere due righe ma casomai sarà per la prossima volta.
Dune, Villeneuve. Clamoroso per la padronanza nella messa in scena di un immaginario estremo come quello di Dune, misuratissimo, per certi versi essenziale, pur restituendo l'imponenza sovrumana di civiltà, tecnologie ed eventi di scala interplanetaria. World building gestito magistralmente per quasi tutta la durata del film e in particolare nelle prime battute, che era molto facile sbagliare. Personalmente di Dune avevo letto solo qualche capitolo (non so se fosse colpa della traduzione, ma non trovavo soddisfacente il livello generale della scrittura) e sinceramente ho trovato più efficace l'introduzione di Villeneuve rispetto a quella dello stesso Herbert. Il principale problema del film nasce secondo me dalla sua natura tronca, che dovendo costruire un finale dove un finale non c'era inizia nell'ultimo atto a forzare i tempi e i toni in modo per me non convincente e forse anche non molto coerente con la gestione precedente dei tempi e degli eventi. La prima cosa che viene in mente, benché sia poco più di un'inezia, è l'abuso di flash-forward su Zendaya, che francamente dopo la terza o la quarta volta diventano involontariamente ridicoli. In ogni caso, il modo in cui Villeneuve ha deciso di prendersi i suoi tempi è ammirevole, e spero paghi nel fisiologicamente inevitabile seguito. In generale, il giudizio non può che essere sospeso. Nota finale su Chalamet, ottima prova e casting centratissimo.
Spencer, Larraìn. Benché non banale, e al di là della stucchevole epigrafe iniziale sufficientemente equilibrato nel rappresentare le varie sfaccettature della questione – l'instabilità mentale ed emotiva di lei, le costrizioni di palazzo non come ripicca personale bensì come inevitabile corollario di un sistema di potere ormai cristallizzato sulla convenzione in quanto tale – l'ho trovato fin troppo convenzionale scena per scena. Il parallelo con Anna Bolena poteva essere un apprezzabile dettaglio ma scade nel kitsch per l'insistenza con cui viene riproposto. Stewart bellissima ma interpretazione molto discutibile, in particolare nella primissima scena in cui sfodera un fintissimo accento inglese francamente inascoltabile.
La ragazza ha volato, Labate. Prodotti come questo con il passare degli anni mi sono un po' venuti a noia, ciò detto è comunque competentemente realizzato e non privo di pregi. In particolare spicca – nel bene o nel male – l'ellisse che oscura un passaggio cruciale dell'intreccio: scelta coraggiosa o, al contrario, vigliacca? Sinceramente non saprei dirlo, in ogni caso lascia aperto uno spiraglio di discussione che di per sé è apprezzabile. Se c'è una cosa che mi ha un po' lasciato l'amaro in bocca è il trattamento di Trieste, città che personalmente trovo molto affascinante e che vorrei vedere più rappresentata ma che in realtà, benché citata più volte nel film, rimane di fatto solo uno sfondo che nulla aggiunge rispetto a una qualsiasi altra ambientazione senza nome.
Competencia oficial, Duprat e Cohn. Una piacevole sorpresa. Il tema e gli inneschi comici non sono assolutamente nulla che non si sia già visto più e più volte, eppure riesce comunque a brillare spesso grazie a dei tempi e a delle interpretazioni precisissime. Dato il titolo speravo si interessasse anche al tema festivaliero, che in realtà rimane relegato a un minutaggio davvero minimo. Comunque divertente.
Last night in Soho, Wright. Un pasticcio, con cui specialmente nell'ultimo atto diventa quasi impossibile mantenere la sospensione dell'incredulità. L'incipit è ottimo, il soggetto – se si è disposti a stare al gioco – ha un grandissimo potenziale, ma con il progressivo sopravvento dell'elemento orrorifico si va a perdere quasi tutto in una corsa al jump scare e al colpo di scena che francamente ho trovato deludente da parte di Wright. Soggetto indubbiamente difficilissimo da gestire, evidentemente troppo difficile anche per un maestro come lui.
Amira, Diab. A volte bastano poche inquadrature per distinguere i film che hanno quel quid in più da quelli che non ce l'hanno, e con Amira per me è stato così. Al di là del soggetto e dell'intreccio, è un film scritto con il cuore in cui è bello appassionarsi ai personaggi, e che riesce a calare la vicenda in un contesto sociale, politico, storico e culturale in modo organico e non invadente, con la giusta specificità ma senza per questo perdere in universalità. Forse gestito meno bene il finale: ma è un neo che gli perdono volentieri.
Il buco, Frammartino. Bellissime immagini, e molto apprezzabile l'omaggio all'impresa che viene qui ripercorsa, con un certo gusto se vogliamo quasi herzoghiano. Felice inoltre di vedere rappresentato al cinema un mondo irresistibilmente affascinante come quello della speleologia. Non c'è però altro: sulle altre (fortunatamente minimali) velleità narrative di Frammartino è più gentile stendere un velo pietoso.
Illusions perdues, Giannoli. Non conoscendo il materiale originale l'ho trovato sorprendentemente moderno nel rappresentare il lato più deteriore della stampa e in particolare della critica, proiettando anche un'ombra sull'arte in generale e sul rapporto fra qualità e consenso, fra analisi e manipolazione. La parabola percorsa dal protagonista è quanto di più convenzionale ci si possa aspettare, ma questo va solo a maggior merito della sceneggiatura che riesce comunque a rivitalizzarlo scena per scena senza doversi necessariamente appoggiare sulla tensione dell'anticipazione degli eventi. Qualche didascalia ripetuta forse più del necessario, anche dopo che il messaggio era stato ormai messo bene in chiaro e sottolineato, ma nulla di intollerabile. Messa in scena sontuosa e impeccabile, interpretazioni convincenti. Riuscito, una bella sorpresa di questo festival.
Mona Lisa and the blood moon, Amirpour. A tratti trova un vago gusto girovago notturno, ma è davvero difficile capire perché questo film sia stato girato. Completamente privo di qualsivoglia elemento di interesse, dozzinale e svogliato nella messa in scena. Spezzo una lancia solo nei confronti del piccolo coprotagonista, capace di infondere un po' di vita in un film del tutto insignificante.
Miracol, Apetri. Gestione delle informazioni precisissima, è sostanzialmente un film di dialoghi e riesce ad avvincere fin dalle prime battute. Quando l'azione si sposta al di fuori del dialogo, sa colpire, e forte. Come per La ragazza ha volato, anche qui trovo una scelta su uno snodo cruciale dell'intreccio che non so se considerare interessante o dozzinale. Sospeso il giudizio su questo elemento, ma da parte mia merita a prescindere una piena promozione. Bellissima lei.
Riassunto, miglior film Amira, peggior film Mona Lisa, sorpresa Competencia oficial, delusione Soho.