Sì esisto ancora! Che si legge da queste parti? Butto lì impressioni telegrafiche sui libri letti finora quest'anno. Mi piange il cuore a liquidarli così, ma altrimenti finirei col rimandare all'infinito.
Moby Dick | Herman Melville, 1851. Titanico. Un monumento in prosa, un'enciclopedia lirica. La prima parte è stata quella che più mi ha entusiasmato, una volta al largo fra divagazioni ed episodi autoconclusivi si perde un po' il senso di progressione – ma è anche giusto così. Nessuno ha mai descritto il mare come Mellville, la mia vena talassofobica ha finalmente trovato il suo Sacro Graal. È stato commovente.
Memorie dal sottosuolo | Fedor Dostoevskij, 1864. Un distillato del più convulso delirio isterico made in Dosto, impossibile non amarlo. Forse sono in minoranza ma ho preferito la seconda metà, quella cena è la concretizzazione dei miei peggiori incubi di autoannientamento sociale e non la dimenticherò mai.
Gli indifferenti | Alberto Moravia, 1929. Il vuoto, la stasi, il disprezzo sono i tre elementi fondamentali con cui riassumere queste tristi vite. Un incubo ad occhi aperti in cui è doloroso a tratti riconoscersi. Prosa indimenticabile. (Romanzo d'esordio per il ventiduenne Moravia, inconcepibile.)
Una cosa divertente che non farò mai più | David Foster Wallace, 1996. Wallace che si guarda intorno, in questa puntata: su una nave da crociera. È sempre un gran leggere, scorre che è un piacere.
Tristi tropici | Claude Lévi-Strauss, 1955. Due libri in uno: il libro Ma io volevo fare lo scrittore, in cui Lévi-Strauss tenta di affogarci nel diabetico barocco delle sue interminabili, decisamente non richieste divagazioni (fra cui l'indimenticabile capitolo Tramonto); e il libro Però mi pagano per fare l'etnografo, in cui scrive quello che uno si aspetterebbe di leggere.
Saggio sulla lucidità | José Saramago, 2004. Piaciuto meno del predecessore Cecità, se nel primo l'assenza di spiegazioni era perfettamente in linea con gli scopi del racconto qui rappresenta un grosso punto debole secondo me. Ottima la prima parte, scade un po' quando si riallaccia al libro precedente, con esiti decisamente forzati. Comunque sia la prosa di Saramago rimane impagabile, unica.
I Malavoglia | Giovanni Verga, 1881. Il respiro amplissimo dei grandi romanzi classici coniugato ad una impressionante modernità nella consapevolezza dello stile e nella caratterizzazione dei personaggi e delle reciproche relazioni. L'imparzialità del narratore esiste solo al livello più superficiale del romanzo, una volta entrati in sintonia con i suoi ritmi si avverte una tenerezza e una pietà nei confronti di questa piccola umanità che commuove profondamente. Capolavoro vero, non mi aspettavo niente del genere.
Armi, acciaio e malattie | Jared Diamond, 1997. Bellissimo, quest'estate per ragioni ignote mi sono infognato in robe antropologico/precolombiane e Armi, acciaio e malattie è tutto quello che avrei potuto e voluto chiedere. Interessantissimo, vastissimo e argomentato con un'onestà intellettuale quasi commovente. Imprescindibile.
Finzioni | Jorge Luis Borges, 1944. Sono a metà, mi basta per annoverarlo serenamente fra i capolavori del secolo.
E in corso, lo scherzo infinito del buon David Foster.