Il punto è che Vaan, background demmerda (e appena accennato) a parte, finisce lì. Non dà assolutamente nulla al videogiocatore se non un manichino da controllare, un avatar. È funzionale al tipo di racconto? Può darsi (se avesse avuto una caratterizzazione degna, lo sarebbe stato uguale, non era necessario un avatar vuoto). È caratterizzato come gli esempi da te portati? Ma anche no, ed è un dato di fatto, niente che tanti giri di parole forbite possano cambiare
Vedo davvero troppi apriorismi nel tuo discorso. Le tue mi sembrano conclusioni arbitrarie non supportate da argomentazioni valide.
Allora: per poter apprezzare qualcosa si deve osservare quel qualcosa per ciò che è. Non per quello che si vorrebbe che fosse.
Se io proietto una visione ideale su un dato oggetto e poi mi rendo conto che quello non è come l'avevo vagheggiato, è chiaro che resto deluso.
Ma è forse una mancanza dell'oggetto? No, sono stato fesso io.
Qual è il tuo criterio per discernere la validità di un retroterra? L'originalità? Il barocchismo?
Dicevi anche il più misero degli eventi ti sarebbe stato sufficiente, e invece ora lamenti che gli antefatti di Vaan sono troppo poveri. Non so, delucidaci.
Inoltre, che Vaan abbia degli effettivi sviluppi è già stato detto. A Jahara, durante una conversazione con Ashe, esplicita VERBALMENTE di aver superato il suo moto escapista di fantasie infantili. Ora magari non basta neanche questo.
Al contesto. Quando mai si sente usare millantare autarchia per dare una definizione comportamentale di una persona, maddai
Si vede che non hai mai letto analisi cliniche di pazienti affetti da disturbi mentali.
È una facezia, ma anche se si potrebbe obiettare non lo sia, in realtà è un discorso analogo. Descrivere un personaggio di finzione, come pure una persona, attenendosi alle precise norme di una disciplina (la psichiatria come la narratologia) significa anzitutto dargli una collocazione specifica entro un insieme di categorizzazioni. Di tipizzazioni. Perché le possibilità sono limitate e tutto è ascrivibile a dei modelli preesistenti.
Cloud incluso.
Nel suo caso si tratta di un antieroe perché è chiaramente avulso dalla società, ha ambizioni di affermazione individuale, e il suo sistema di valori si discosta drasticamente da quello di un convenzionale personaggio positivo (è praticamente nichilista).
Poi ho scritto che millanta autarchia (e la locuzione mi è venuta sul momento) perché si atteggia a solitario autosufficiente. In principio si dichiara disinteressato nientemeno che alle sorti del pianeta, dicendo letteralmente che la sottrazione della sua energia vitale da parte dei reattori della ShinRa
non è un problema che lo riguardi. In pratica ha velleità di completa autonomia (decisionale, etica, affettiva, relazionale, e tutto), ma immediatamente dopo averlo detto riscuote un compenso in denaro da Barret (legittimando uno scambio dovuto a prestazione subordinata, notoriamente un rapporto di INTERDIPENDENZA). Complimenti a lui per la coerenza. Convinto poi eh.
Quindi, naturalmente è solo vacua ostentazione (come dire: predica bene e razzola male), anche perché in seguito si redime.
Tutto questo (incoerenze a parte) può sembrare molto fico e invece è assolutamente banale (e lo intendo senza accezioni negative: è semplicemente ordinario), perché negli ultimi decenni è proprio questa la figura più sfruttata nelle opere di finzione (letteratura, cinema, videogiochi e così via).
E, a tal proposito, per effetto di queste scelte si vede la deriva che la moralità collettiva sta prendendo.
Le tue osservazioni mi sembrano tutte opportune e sensate.
In particolare, il tuo parallelo con Final Fantasy Tactics è appropriatissimo, dato che anche quello è stato sceneggiato da Matsuno. Perciò, nonostante il suo abbandono prematuro del progetto (si dice a circa due terzi dello sviluppo), tracce del suo modus operandi era inevitabile che si manifestassero pure in Final Fantasy XII.
Ma ora che ho letto i tuoi interventi mi sembra fuori luogo accostarli al mio primo messaggio su questa discussione.
Perché chiaramente gli intenti sono differenti: tu parlavi del gioco con l'intenzione di esaminare le sue componenti al fine di valutarlo complessivamente, mentre nel mio caso è stato solo incidentale sfiorare l'argomento di Vaan.
Stavo dicendo che non è davvero necessario che un personaggio sia altro che semplicemente funzionale.
Perché stavo cercando di avvalorare l'assunto, per me fondamentale, della subalternità dei personaggi all'interno di un più vasto sistema di elementi come quello della narrativa.
Questo era il mio discorso.
È troppo ambizioso? È supponente?
Boh, siccome i videogiochi hanno assimilato una forma di espressione (la narrativa appunto) a loro in precedenza estranea, a me pare utile analizzare il fenomeno. Ma per farlo bisogna individuare le convenzioni che regolano questa disciplina.
Com'è noto, una funzione eminente all'interno di una data narrazione la svolgono i topoi, i cosiddetti luoghi comuni.
Questi servono per creare un contesto all'interno del quale deve muoversi qualcosa. Nello specifico i personaggi, le cui vicende sono portate avanti attraverso l'uso di espedienti narrativi. Cioè degli artifici retorici. Dei PRETESTI.
Serve insomma che si creino i presupposti perché si approdi ad una determinata meta.
Perché lo scopo ultimo di un autore dovrebbe essere COMUNICARE qualcosa, o no?
Qualsiasi intreccio narrativo è sostanzialmente solo un contenitore, perciò ritengo non sia davvero importante quanto sia articolato. Anzi, spesso quanto più è semplice tanto più è onesto e intelligibile. La roba intricata è sovente uno specchio per le allodole che abbaglia soltanto. Del tipo: va bene, hai tanta fantasia, ma che volevi dire con tutto quel casino che hai allestito?
Faccio un esempio pratico.
Il topos, diciamo, tradizionale degli JRPG è: l'eroe s'imbarca in un viaggio per salvare il mondo da un male incombente.
Chiaramente questo è il PRETESTO che eventualmente consentirà all'autore di esibire, attraverso i personaggi, le qualità positive che dovranno ispirare l'utente. Oppure di fare emergere dei conflitti etici, morali, psicologici, sociali e così via.
Cecil di Final Fantasy IV, che da cavaliere oscuro diventa un paladino, incarna l'archetipo dell'eroe positivo che supera le insidie per raggiungere la piena consapevolezza di sé. Non per niente all'inizio è combattuto tra la sua coscienza morale (la cieca obbedienza a colui che l'ha allevato ed educato) e la volontà di osservare un'etica deontologica (non perpetrare le crudeltà che questi gli comanda). Ma alla fine, forte di nuove esperienze determinanti, non ha più dubbi e si risolve ad agire nel giusto.
Seppur in un modo ovvio e infantile, Sakaguchi intendeva rappresentare la parabola di un uomo che, affrontando le avversità che gli si presentano dinanzi, acquisisce autonomia decisionale e finalmente afferma sé stesso.
Tutto il resto è accessorio, inessenziale. Sono orpelli.
Gran parte dei Final Fantasy (quelli di Sakaguchi prima e quelli di Kitase dopo), come notavano pure Zio Name e Beastly-Zero, è contraddistinta da questa impostazione di centralità del singolo, cioè individualista.
Del resto lo sono anche la maggioranza degli altri JRPG, che probabilmente si modellano sulle classiche fiabe occidentali.
Sono fondamentalmente l'apoteosi dell'individuo che si afferma SUPERANDO le convenzioni e PRESCINDENDO da tutto il resto.
Tipo che lui è meglio di tutti perché sì.
Il Final Fantasy XII di Matsuno è necessariamente diverso perché le sue preoccupazioni sono altre.
La sua narrazione si focalizza sulle collettività, su disegni politici e le loro conseguenze all'interno di un determinato sistema sociale, e sul modo di integrarsi di alcuni individui che vi si trovano coinvolti.
L'ottica è praticamente ribaltata: il singolo è solo uno tra i tanti e deve ADATTARSI al suo contesto.
Vedasi Vaan, che non è neanche un nobile, ergo non conta niente se posto di fronte alla vastità di ciò che lo circonda. È solo un cittadino come tanti. E mi pare pure sensato.
Tipo che lui è come qualsiasi persona comune.
Insomma, bisogna arrivare al fulcro, alle fondamenta delle cose. E comprenderle, prima di dirsi contrariati e disapprovarle.