Gli Anelli del potere - La Ziorecensione del primo episodio
Mi domando se vi sia una sorta di violenza nel confrontare a tutti i costi due prodotti usciti a distanza di così tanti anni: da un lato, la doppia trilogia cinematografica di Peter Jackson, capolavori di differente ma inestimabile valore; dall’altro lato, la neo trasposizione di Amazon, una serie tv da otto episodi la quale promette di sviscerare tutti i segreti che portarono alla forgiatura degli anelli magici narrati da Tolkien.
Eppure, il dubbio più forte è che la posizione più violenta sia quella assunta dai riscoperti nuovi fan che vogliano completamente ignorare ogni riferimento e raffronto allo scopo di esaltare l’ultimo prodotto di Jeff Bezos. Si sentenzia di costruzioni diverse, di stili differenti e di quanto sia, dunque, inutile soffermarsi.
Nulla di più sbagliato, capiamoci subito, e arriviamo al dunque così da toglierci il sassolino dalla scarpa, senza temere di essere tacciati per fanatici di Jackson: il confronto non solo è giusto perché ci permette di avere un termine di paragone per misurare la qualità dell’opera recente, anche laddove fosse diversa nello spirito da quella precedente; di più: il primo episodio de ‘Gli anelli del potere’ soccombe senza possibili repliche né tempi supplementari. Le ragioni di ciò sono principalmente legate a motivi tecnici, e non potrebbe essere altrimenti: il carattere introduttivo del prologo, tipico di molti episodi pilota, è utile a presentare contesto, ambienti, personaggi – ma anche su questo si può già dire qualcosa, e non è quello che vorreste leggere - ; tuttavia, resta utile concentrarsi, in primo luogo, su aspetti squisitamente strutturali.
In particolare, è la regia che non funziona. Schiava, palesemente schiava degli effetti speciali, la macchina da presa è timida e impaurita: attende, attende il via affinché possa lentamente muoversi, ma solo dopo che i grafici hanno acconsentito e dato il permesso. Da questo punto in avanti, poi, la macchina da presa diventa ancora più schiava: il compito è di seguire gli interpreti, in un tripudio claustrofobico di primi piani o piani americani.
È incredibile quante volte si verifichi questa situazione, nella prima ora de Gli anelli del potere: perfettamente in corrispondenza dei “mini” campi larghi – dei Green Screen, più che altro; siamo passati dal carattere genuino della nuova Zelanda alla mera computer grafica, e in ogni caso i momenti di vero respiro sono piuttosto rari – la macchina è lì ferma, per quell’attimo di troppo, e poi parte, lentamente, verso gli attori. Il montaggio non solo non è in grado di mascherare la costruzione artificiosa della scena, ma finisce col palesare la dipendenza della regia stessa nei confronti degli effetti speciali. È un qualcosa che non dovrebbe mai, mai accadere, eppure, ne Gli anelli del potere, accade più volte.
Timidezza, dicevamo: i movimenti di macchina sono estremamente delicati, anche nelle situazioni più concitate, fino a creare un’atmosfera asettica, priva di emozioni.
Se l’azione è però apatica, l’epica è bella che andata. E così, vi è una piattezza di fondo clamorosa, che va a risolversi in un’atmosfera da sop opera Argentina dei tempi che furono, visto il continuo disquisire dei nostri protagonisti.
Il regista, infatti, è palesemente innamorato dei suoi attori. E lo è così ossessivamente da girarci intorno più e più volte: nei dialoghi la camera da presa tende a cambiare il fianco dal quale ci mostra gli attori, provocando leggermente – giusto leggermente, per usare un eufemismo – fastidio. Ora siamo alle spalle, ora davanti, ora da un lato ma poi dall’altro, il tutto in una manciata di secondi. Quale che sia la ragione, la questione appare francamente incomprensibile, dato il budget e il largo uso della effettistica che pur permetterebbero di adeguare gli ambienti a ogni regola basilare di cinematografia, e al buon uso della strumentazione di cui la troupe dispone.
A poco serve notare la ricercatezza dei dialoghi, che perlomeno sono quasi mai banali, ma infine preda dei loro stessi costrutti: poco accade, nel corso dell’episodio, e se accade, la sostanza resta banale. La protagonista, Galadriel, è buona e forte e ha già capito tutto, grazie al suo istinto superiore di elfa – la giovane interprete, Morfydd Clark, ha un ‘taglio di occhi’ sinceramente peculiare per ricoprire il ruolo ma, allo stesso tempo, decisamente poco espressivo. Per il resto, non manca un prevedibile melting pot, mentre attendiamo al varco inutili coming out e baci saffici.
A chiudere il quadro tecnico, la computer grafica da molti esaltata finisce, inevitabilmente, per puzzare di finzione, specie nella scena degli elfi in barca.
Tutto a rotoli, dunque? Non proprio. Le musiche di Bear McCreary, compositore di God of War, mettono una pezza per recuperare quel minimo di atmosfera, pur non avendo quel carattere pungente della colonna sonora de Il Signore degli anelli. I costumi, poi, sono sinceramente eccezionali e ricchi di dettagli, mentre la fotografia funziona e quasi sempre fa apparire il quadro di insieme omogeneo. Infine, si può dire la trama è pronta ad accogliere il ritorno del male e la conseguente riunione dei personaggi presentati, per una nuova avventura in cui si spera gli interpreti saranno all’altezza.
Commento:
Per i soli episodi circa 700 milioni, ma altri 250 per le licenze. In Amazon, insomma, hanno pensato bene di investire un miliardo di dollari per la realizzazione di un prodotto, solo per affidarlo, poi, alle poco sapienti mani di J. A. Bayona, autore di quella trashata di Jurassic world il mondo distrutto, che tanto basta e non serve dire altro. Il tutto, mentre si inviava una richiesta di collaborazione a Peter Jackson, salvo poi nascondersi ed escludere il maestro dalla produzione.
In un aneddoto, appena saputo della realizzazione della serie, il figlio di Jezz Bezos avrebbe chiesto al padre di “non fare puttanate”. Direi che l’hanno fatta alla grande.
Pro
-Ottimi costumi
-Fotografia opportuna
-Musiche di alto livello
-La trama fa presagire una grande avventura
Contro
-Il regista è inadeguato
-Galadriel è Katie Holmes, ha una sola espressione ed è perlopiù quella del pesce lesso
-Computer grafica talvolta fin troppo evidente
-Dialoghi ricercati ma personaggi fin troppo preimpostati e prevedibili, manca una sostanziosa imprevedibilità
-Doppiaggio italiano ‘isolato’ e talvolta caricaturale
Voto – Ci manchi Peter.
ZioRenovatio