Intervista a Guy Gavriel Kay
Ben prima di esordire con un suo romanzo Guy Gavriel Kay, nato il 7 novembre del 1954 a Weyburn, nel Saskatchewan, si era costruito una discreta fama fra gli addetti ai lavori grazie alla collaborazione con Christopher Tolkien nella revisione del Silmarillion.
Dopo la morte di J.R.R. Tolkien avvenuta nel 1973 il figlio Christopher aveva deciso di pubblicare l’opera incompiuta alla quale il padre aveva lavorato per buona parte della sua vita. I genitori di sua moglie Baillie erano amici dei genitori di Kay, e così il giovane si era visto proporre una collaborazione volta a dare una forma unitaria all’enorme quantità di materiale rimasto incompiuto a causa della scomparsa dello scrittore. In seguito Kay ha rievocato l’episodio sottolineando “Chi NON sarebbe stato interessato a un simile progetto?”.
Dopo un anno di lavoro Il Silmarillon viene pubblicato nel 1977 e diviene subito un enorme successo. Dall’esperienza Kay esce con un rinforzato desiderio di diventare uno scrittore e con un notevole bagaglio di esperienza. Tornato in Canada consegue la laurea in Legge e stringe amicizia con l’avvocato criminologo Edward Greenspan, all’epoca impegnato nella progettazione di una serie prima radiofonica e poi televisiva incentrata sulla drammatizzazione di alcuni processi realmente avvenuti in Canada. Kay diventa produttore associato e principale scrittore di The Scales of Justice, programma che va in onda fra il 1982 e il 1989.
Nel 1984 Guy pubblica il suo primo romanzo, La strada dei re (The Summer Tree), tradotto in italiano nove anni più tardi. I successivi La via del fuoco (The Wandering Fire, 1986) e Il sentiero della notte (The Darkest Road, 1986) concludono la sua unica trilogia, quella di Fionavar (The Fionavar Tapestry).
La storia, che parla del viaggio compiuto da cinque studenti canadesi in un mondo parallelo al nostro, presenta un’entità negativa simile al Sauron di Tolkien, ma riunisce in sé elementi importanti delle mitologie celtiche e norrene e del ciclo arturiano, e trova il suo punto di forza nello sviluppo dei personaggi e nella loro crescita, necessaria a salvare il mondo di Fionavar. L’intento dello scrittore è di donare nuova vitalità a un genere troppo legato agli stessi modelli partendo proprio da quei modelli ma usandoli in modo nuovo.
Il romanzo successivo è Il paese delle due lune (Tigana, 1990). Il tema trattato, quello dell’importanza dell’identità culturale di un popolo, riscuote enormi consensi in particolar modo presso quei Paesi — fra gli altri la Corea, Polonia, la Croazia o anche il Quebec — che si sono trovati a dover combattere per mantenere la loro identità.
Meticoloso, attento ai dettagli al punto da dedicare almeno un anno alle ricerche preliminari per ogni sua opera, Kay si orienta verso un fantasy di tipo storico. Le sue storie, a partire da quel Paese delle due lune in parte basato sull’Italia del Rinascimento, trovano la loro origine nella nostra storia ma se ne allontanano per creare un mondo autonomo vivido e convincente, nel quale la sensazione di familiarità con i luoghi descritti si mescola all’assoluta incertezza su ciò che sta per accadere.
Lo spunto di partenza per A Song for Arbonne (1992) si trova nell’antica Provenza e nella crociata contro gli albigesi, mentre The Lions of Al-Rassan (1995) ha fra i protagonisti un personaggio che ricorda molto El Cid nella Spagna della reconquista contro la dominazione araba. Agli anni 1998-2000 risale la duologia The Sarantine Mosaic, composta da Sailing to Sarantium e Lord of Emperors e incentrata su un mosaicista attivo in una terra simile all’impero bizantino di Giustiniano. Il romanzo successivo The Last Light of the Sun (2004), è ambientato in culture che richiamano molto da vicino quella vichinga e la sua controparte inglese dell’epoca di Alfredo il Grande.
Ysabel (2007) è il suo unico urban fantasy, ma al fianco della realtà della Provenza del XXI secolo trovano spazio le leggende di quella terra e un importante aggancio alla Trilogia di Fionavar. Il romanzo ha consentito a Kay di conquistare un World Fantasy Award.
Del 2010 è La rinascita di Shen Tai (Under Heaven), l’unica sua opera attualmente in commercio in Italia. Il romanzo è nato quasi per caso, mentre Kay stava compiendo le ricerche per un altro progetto. Ciò che pensava di scrivere era una storia legata a un viaggio lungo il corrispettivo della Via della Seta in una Cina alternativa. Guy però non è riuscito a resistere al fascino della dinastia Tang dell’VIII secolo e l’incontro con Li Bai, grandissimo poeta realmente esistito che gli ha ispirato la figura di Sima Zian, lo ha definitivamente orientato sulla storia di Under Heaven.
Il precedente progetto, solo posticipato, è stato pubblicata lo scorso anno con il titolo River of Stars. Ad accomunare i due libri, oltre all’atmosfera orientale, lo stile inconfondibile di Kay capace di legare insieme vicende apparentemente molto diverse fra loro, il respiro di una storia molto vasta che allarga gli orizzonti rispetto a quella, parallela ma più piccola, di un ristretto gruppo di personaggi e la conclusione, mai troppo facile. A suo giudizio raccontare di “società e di mondi nel momento in cui sono attraversati da profonde trasformazioni può portare a risultati dolorosi”. Si tratta di “rispetto per il lettore”, perché quando la posta in gioco è alta “il lettore può sentirsi preso in giro se non ci sono conseguenze o perdite legate alle scelte compiute”. E infatti in ciascuno dei suoi romanzi almeno un personaggio importante paga un prezzo molto pesante per gli eventi che si sono appena svolti.
I mondi fantastici di Guy Gavriel Kay
Al di là dei tuoi romanzi molti lettori ti conoscono per il tuo lavoro, al fianco di Christopher Tolkien, nella revisione del Silmarillion.
Cosa ci puoi raccontare di quest’esperienza? Che cosa hai imparato?
È impossibile per chiunque, specie se giovane, passare attraverso un’esperienza di questo tipo e non esserne influenzato. Come scrittore la lezione più importante che ho imparato (una lezione che continua a essere importante ancora oggi) è l’importanza della pazienza, del prendersi tutto il tempo necessario, tentando con forza di ottenere il risultato giusto. Di non affrettare la storia che si sta narrando. Tolkien ha riscritto per tutta la sua vita, e suppongo che anch’io stia percorrendo la stessa via.
Tu sei stato anche uno sceneggiatore, un’esperienza che condividi con altri scrittori fantasy come George R.R. Martin. Scrivere sceneggiature ha in qualche modo influenzato i tuoi libri?
In realtà io credo che sia un problema se il lavoro come sceneggiatore influenza troppo la narrativa. I punti di forza delle due espressioni artistiche sono molto diversi.
Dopo il fantasy epico della Trilogia di Fionavar ti sei spostato verso un genere diverso, nel quale gli elementi magici sono quasi assenti. Cosa ti ha spinto a una scelta di questo tipo?
In realtà non ho eliminato la magia (o il fantastico) dai miei romanzi, e anzi ce n’è una gran quantità in ciascuno di essi. Semplicemente io non lascio che le mie storie siano decise dagli elementi soprannaturali. Non ne inserisco all’interno per il semplice gusto di farlo. Preferisco lasciare che il fantastico sia uno degli strumenti disponibili allo scrittore, pronto per essere usato quando e se occorre.
Mi sono invece un po’ spostato dalla focalizzazione sui miti e sulle leggende verso una intensa concentrazione sui temi della storia. Forse ironicamente il mio ultimo romanzo, River of Stars, è incentrato su come le leggende prendono forma.
Molti scrittori fantasy scrivono serie molto lunghe, una scelta che li aiuta a catturare l’attenzione dei lettori romanzo dopo romanzo. Tu hai compiuto un percorso diverso scrivendo una trilogia, una duologia e sette romanzi autoconclusivi, anche se gli ultimi due condividono lo stesso mondo. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Anche in questo caso non si è trattato di una precisa strategia. Io penso che a un certo livello sia creativamente rischioso per un artista ripiegarsi troppo su se stesso. Il successo può incoraggiare un autore a rimanere sempre nello stesso luogo. Questo a livello commerciale può essere positivo (pensa a tutti i sequel di Hollywood!), ma può anche essere artisticamente distruttivo. Io sono abbastanza testardo (!) da aver voluto continuare a testarmi ricominciando ogni volta dall’inizio. Nuovi personaggi, nuove ambientazioni e — cosa più importante — nuovi temi, nuove ragioni per scrivere i libri (volendo anche che la gente li legga).
In diverse interviste hai spiegato che il punto d’inizio per le tue storie è l’ambientazione, e che i personaggi e le loro azioni nascono in un secondo momento. Puoi approfondire un po’ e spiegarci come procedi quando inizi una nuova storia?
Questo è vero, con un ulteriore elemento: dopo aver deciso l’ambientazione io ho bisogno di capire perché devo narrare quella storia, perché dovrei impiegare tre anni a lavorarci, e aspettarmi che i lettori impieghino tutto il tempo che gli serve per leggere un libro lungo. Cosa c’è riguardo a quel tempo, a quel luogo e a quelle persone che è così importante. Così il tema del romanzo (o i temi principali, generalmente io sono sorpreso da nuovi elementi man mano che scrivo) deve emergere molto presto.
In tutti i tuoi romanzi non limiti la tua attenzione alle vicende di uno o di una manciata di personaggi, ma ti soffermi anche su quelli secondari. Nella Rinascita di Shen Tai Chou Yan, Wujen NingPei Qin e Tazek Karad sono figure minori, con ruoli secondari all’interno della trama principale, eppure le loro storie sono affascinanti e in poche pagine tu riesci a renderli vivi e reali. Come mai hai deciso di dedicargli quello spazio, invece di limitarti a usarli come parte della trama principale?
Una volta, riuscendo a essere divertente nel fare un complimento, qualcuno ha detto che “Kay non riesce mai a incontrare un personaggio secondario che non gli piaccia!”. È quasi vero: io posso non amarli tutti davvero, ma sono interessato a loro. Se i miei romanzi hanno ottenuto un’intensa risposta da parte di lettori provenienti da tutto il mondo, penso che sia in parte dovuto a questa volontà di prendermi uno spazio nella narrazione per donare “la vita” a personaggi che non siano solo quelli principali.
Tu sei anche un poeta, e in una poesia ogni parola è fondamentale per l’intera composizione. Quanto è importante trovare la parola giusta in un’opera lunga quanto un romanzo?
Un’ottima domanda — avrebbe bisogno di uno studio specifico! Parte di quella pazienza di cui ho parlato prima consiste nel prendersi il tempo per scrivere bene, parola dopo parola, frase dopo frase. È una parte dell’arte dello scrivere. Questo, come sai, è sempre stato importante per me: la scrittura è fondamentale. Come dico sempre alcune persone leggono per la storia, altre per i personaggi, e altre ancora per il linguaggio e io penso che il mio lavoro — il nostro lavoro come scrittori — sia di provare a scrivere per tutti loro.
I tuoi romanzi finiscono spesso in modo positivo, con ampio spazio per la speranza, ma contengono anche sempre un elemento di tristezza. Per esempio c’è sempre un personaggio molto amato che non sopravvive e un generale sentimento di “cosa sarebbe potuto accadere se…” che rimane con il lettore. Si tratta di una scelta consapevole?
Il tono con cui finisce ciascun libro è il suo, determinato dalla natura della storia. Se pensi alle conclusioni della Rinascita di Shen Tai e di River of Stars in termini di larga scala e poi di vicende personali, vedrai che sono quasi l’uno l’opposto dell’altro! Io credo nella complessità, nelle sfumature, nella ricchezza della vita. Non voglio scrivere libri desolati e monodimensionali in cui “la vita è sempre orribile e tutti sono stupidi o malvagi”, né essere carinamente disonesto con libri da “tutti vissero felici e contenti”. Io sto cercando di dar forma, nel lettore, ad alcuni dei sentimenti e dei pensieri più grandi a cui la letteratura può aspirare.
Un’ultima cosa. Quando George R.R. Martin ha iniziato a uccidere i suoi personaggi, io non ho sofferto tanto quanto altri lettori perché ero già stata vaccinata da te e dalle tue decisioni nella Trilogia di Fionavar. Il tuo ultimo romanzo, River of Stars, non è stato tradotto in italiano e io non lo ho ancora letto. Hai intenzione di spezzarmi il cuore un’altra volta?
“Vaccinata” è una parola divertente, mi ha fatto sorridere. Io non sono certo la prima persona ad aver esplorato il potere o l’impatto dell’uccidere un personaggio nella narrativa. Per me è fondamentale che queste perdite (e alcune perdite non sono morti ma separazioni) arrivino a importare per il lettore perché lui o lei è profondamente legato a questi personaggi. Voglio che i personaggi dei miei libri rimangano con il lettore, qualunque cosa gli accada. Ho detto molte volte che vorrei che i miei lettori restassero svegli fino alle tre di notte continuando a girare le pagine per la necessità di finire il libro, ma anche che continuassero a pensare al libro anche un anno dopo averlo letto.
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