Ecco il mio commento, ovviamente non sono entrato nello specifico in nulla perché avrei dovuto impegnarci la giornata. //content.invisioncic.com/a283374/emoticons/emoticons_dent1005.gif Per fortuna il film è ancora bello caldo e ci sarà tempo per parlarne a sazietà.
The hateful eight è, già dal titolo, un film impregnato di odio. È ciò di cui parla, ed è ciò di cui è fatto. Senza dubbio ci troviamo davanti al Tarantino più cattivo, e più politico, che si si sia visto finora: i conflitti messi in scena non sono quel
divertissement autoreferenziale che chiudeva in se stessi i primi film, ma diventano il pretesto per allargare gli orizzonti dell'opera ben al di là delle vicende rappresentate, arrivando a minare le fondamenta stesse degli Stati Uniti d'America sotto i colpi dell'affilatissima sceneggiatura. Come nessun'altro film del regista,
The hateful eight affonda le proprie radici nella terra e nella Storia americane: utilizza il genere per immergersi in una sua epoca fondamentale; persegue una spietata demistificazione di ogni simbologia rassicurante, sia essa positiva o negativa; ribalta ogni stereotipo che gli si pari davanti, giocando con lo spettatore e disilludendolo continuamente. All'emporio di Minnie va in scena una triste guerra dopo la guerra, una guerra
per la guerra: ovvero, una faida fallimentare e disperata che continuerà ad auto-alimentarsi finché gli uomini non abbandoneranno il forsennato desiderio di tracciare confini e sguazzare nella reciproca incomprensione. La rilettura tarantiniana della guerra civile è un gioco al massacro che non lascia superstiti, macchiando di sangue un personaggio dopo l'altro. Sotto la superficie giocosa, quasi giallistica, troviamo insomma un film amarissimo e disilluso, quindi personalissimo. Ma proprio per questo ciò non significa che Tarantino abbia dimenticato di essere Tarantino: ogni linea di dialogo, ogni personaggio è grondante del suo stile, e quanto detto finora arricchisce questo stile senza snaturarlo per un solo momento. Che a pensarci è proprio ciò che in in
Django unchained mi aveva fatto storcere il naso: ebbene, con
The hateful eight Tarantino riesce a correggere il tiro fino a ottenere un centro perfetto, e quasi sono tentato di rivalutare il film precedente in funzione propedeutica a questo. Come in ogni film di Tarantino, la sceneggiatura è la prima cosa che salta all'occhio; e solo per questo non ho ancora parlato della tecnica sublime che sorregge il tutto: basti dire che sotto ogni aspetto ci troviamo a livelli di eccellenza assoluta, elegantissima nel suo essere così poco appariscente. La fotografia è magnifica, il formato ultra-panoramico sfruttato appieno; non mi pronuncio sui 70mm che potrò giudicare meglio una volta confrontati con la versione digitale del film. Mi limito per adesso a dire che ho trovato la proiezione molto affascinante, i colori morbidissimi, le sottili imperfezioni deliziose. Si avverte quasi fisicamente tutto l'amore che c'è stato dietro. Ma se il film è così bello da vedere, un plauso va anche ai signori scenografi, truccatori e costumisti, che confezionano un lavoro solidissimo nonostante la pochezza del materiale di base. Sonoro fuori parametro: è evidente che Tarantino sa meglio di tutti noi quanto questo aspetto faccia parte dell'esperienza cinematografica alla pari di quelli più appariscenti. Tutto, dalle voci dei personaggi ai cigolii della mobilia, è un piacere da ascoltare. E sono felice di averlo potuto ascoltare in lingua originale: in particolare per un film così profondamente radicato nella propria cultura, qualunque doppiaggio avrebbe inevitabilmente snaturato l'atmosfera – per non parlare delle interpretazioni in sé. A questo riguardo vorrei fare una menzione speciale per Samuel L. Jackson, forse nel ruolo della vita, capace di spiccare su un cast
mostruoso: quel monologo vale da solo più di molte carriere. (Un'altra nota di merito per l'incredibile Jennifer Jason Leigh, ma veramente nominarne solo due pare un'ingiustizia nei confronti degli altri.) Tutta questa bellezza, orchestrata magistralmente dal regista, crea un'alchimia che ha quasi del magico. Perché
The hateful eight è Cinema puro: sullo schermo otto personaggi che parlano in una stanza, eppure sei lì, incantato, godendo del pulviscolo in controluce, di quelle due strisce gialle sul cappotto di Jackson che sembrano bucare il fotogramma, del suono del vento o di quello di una sedia trascinata sul pavimento, o ancora pendendo dalle labbra di un boia impegnato a sproloquiare con una condannata a morte. Più volte durante la visione mi è parso di tornare indietro a quel pomeriggio di olter sei (sei!?) anni fa, quando Hans Landa e Perrier LaPadite mi diedero la dimostrazione di cosa quest'Arte fosse capace di fare, e di quanto potesse rapirmi. Bentornato, Quentin.
P.S.: Ogni volta che Mannix (Walton Goggins) apriva bocca non potevo fare a meno di pensare a
lui. Ditemi che qualcun'altro sa di cosa sto parlando, è UGUALE.

«
I saw my boss... kiss a man!» cit.