Un mio maestro si esprimeva spesso con un contenuto sarcasmo verso gli economisti che lui definiva “di palazzo”, quelli che a fare la spesa non ci vanno mai, e quindi ignorano i problemi della gente comune. In effetti, nella mia esperienza personale, non posso che dargli ragione. Al mercato, quello vero, quello rionale, s’imparano tante cose. Sentite cosa mi è successo un paio di mesi fa.
Ero al mercato del Trionfale, in cerca di niente di particolare. Mi colpisce su una bancarella una cassetta di ciliegie all’insolito prezzo di 6 euro al chilo. Capite, vero, a cosa mi sto riferendo? Alla drupa del Prunus avium, sì, quell’oggettino che prima dell’entrata nell’euro, per chi se lo ricorda, si trovava anche a 6000 lire al chilo, e che quindi oggi te lo trovi a 12 euro (voi direte: “No, scusa, a 6 euro!”. E io vi dico: “Ma ci andate al mercato? Sarete mica economisti di palazzo...”). Insomma, questi 6 euro, per un economista, e per di più goloso... attiravano l’attenzione...
A mia volta attiro l’attenzione del fruttarolo (si chiama così), chiedendo un chilo di ciliegie. Iniziano le solite manovre: prima, con abile gesto, le prende da sotto il mucchio (dove ovviamente era solo tenebra, stridor di denti e muffa). Allora io gli significo con cortese fermezza di non provarci, che preferisco quelle buone. Poi me ne carica un chilo e mezzo. Ma io che ci faccio con un chilo e mezzo? E gli chiedo di scaricare il piatto della bilancia. E qui subentra la mozione degli affetti: “Guardi, dotto’, si mme le porta via je faccio ’n prezzo”. Insomma, come quello delle aguglie, ve lo ricordate?
Ma questa volta non era un sogno, e quindi, come dire, aderisco alla cortese offerta: “Va bene, fai due chili dieci euro”.
Mentre cerco l’odiata banconota nel portafogli, squilla il telefono: non il mio, il suo. Lo vedo guardare con aria preoccupata, e poi, con un cenno d’intesa, decide di rispondere.
“Mario? Dimme Mario... No, no, tu nun disturbi mai... No, c’ho un cliente, ma è ‘na brava persona, nun te preoccupa’, dimme... Come? Cosa? A Mario! A Mariooooo! Ma si tte l’avevo detto du’ ggiorni fa? Ma allora nun me voi proprio sta a ssenti’... M’hai sforato n’artra vorta er targhet de M3! Però così nun se po annà avanti. Vabbe’, allora quant’è er dato? Aspetta che mo ‘o segno... Sì, d’accordo, vabbe’, grazzie che m’a hai detto. Sì, sì, nun te preoccupa’, ce lo so, ce lo so... So tempi brutti pure pe’ tte... Vabbe’, ciao, daje, te chiamo dopo...”
E attacca.
Io, un po’ perplesso, porgo la banconota.
E lui: “No, aspetti, dotto’, me dispiace, ce sta un piccolo problema, sa, m’ha chiamato Mario...”.
E io: “Lo conosco?”
E lui: “Be’, penzo de sì, quello d’a a biccié, Draghi...”
E io: “Ah, lo conosce? Mi fa piacere, me lo saluti quando lo incontra. Ma intanto, io, se potessi, tornerei alla mia umile dimora...”
“No, vede, dotto’, qua ce sta un probblema. Io un prezzo nun glielo posso più ffa. Perché Mario m’ha detto che gl’è sfuggita de mano l’offerta de moneta... ‘O sa come so’ i regazzi. Quello è da poco che sta lì, ancora nun s’è abbituato...”
“Sì, ma io che c’entro?”
“No, dotto’, pe’ ccarità, lei nun c’entra gnente, ce lo so. Solo che quanno ho fatto ’sto prezzo, io m’ero basato su ’na massa monetaria de 10.000,4 mijardi de euri. Mo questo me cambia le carte ‘n tavola...”
“Ma perché, scusi, qual è il problema?”
“Ma dotto’, lei me pare uno che ha studiato, ecché nu’ lo capisce?”
“Veramente no”
“Ma scusi, ce lo sanno tutti: er livello dei prezzi è dato da ‘a massa monetaria divisa pe’ ‘a quantità de bbeni. È l’equazione de Fisce (n.d.r. Fisher)”
“Sì, va bene, ma questo Fisher era anche quello che nel novembre del 1929 diceva che tutto stava andando per il meglio...”
“Dotto’, io questo nun ce lo so, io so solo che mmo me tocca ricalcolaje er prezzo...”
E mentre io lo guardo allibito, lui estrae una calcolatrice e lo sento che borbotta: “Dunque... Oggi M3 sta a 10400 mijardi... La massa de bbeni nell’Eurozona è...”
Penso di defilarmi, prima che lui possa finire il calcolo, ritoccando al rialzo il prezzo, quando Milton Friedman si avvicina al banco e chiede: “Scusi, le zucchine a quanto stanno?”.
“Ah!” penso: “Meno male: è effettivamente un sogno pure questo”.
E mi sveglio. [...]
Continua a stupirmi la diffusione dell’idea che il livello dei prezzi sia causato dalla quantità di moneta in circolazione. Il ragionamento pare sia questo: siccome uso i soldi per comprare i beni, il prezzo sarà il rapporto fra quanti soldi circolano, e quanti beni sono sugli scaffali. Peccato che sia un ragionamento che non funziona, e al quale nessun economista serio ha mai dato credito. Eppure è su questo ragionamento fasullo che si basa, in ultima analisi, l’idea che la Banca centrale debba essere “indipendente”. Perché solo se pensi che la moneta “causi” i prezzi, puoi trovare opportuno che la creazione di moneta sia sottratta al potere esecutivo per essere affidata a un quarto potere “tecnico” e “indipendente”. Per la precisione, questa conclusione richiede altri tre presupposti:
1) che l’inflazione sia un male assoluto;
2) che politici democraticamente eletti farebbero comunque un uso distorto della creazione di moneta (ad esempio usandola per finanziare spese clientelari prima delle elezioni);
3) che i “tecnici” ne farebbero sempre e comunque l’uso corretto.
Le cose che non funzionano, in questo ragionamento, sono diverse: la relazione fra moneta e prezzi è più complicata di quanto si voglia far credere; l’inflazione, entro certi limiti, non è un male assoluto ma un male relativo, nel senso che avvantaggia alcune categorie e ne svantaggia altre, come i dati e il ragionamento dimostrano; e infine i “tecnici” non hanno dato grande prova di sé quando sarebbe stato necessario, anche perché la loro “indipendenza” è stata essa stessa non assoluta, ma piuttosto relativa.
L’ideologia dichiarata sottostante al divorzio quindi era un’ideologia fasulla. Ce n’era un’altra, però, non dichiarata, che ha funzionato benissimo.
Cerchiamo di mettere ordine in questi argomenti, cominciando dal primo: la moneta causa i prezzi.
Intanto, né il bancarellaro, né la multinazionale, quando mettono il prezzo sul cartellino, vanno a vedere quale sia la massa monetaria. Guarderanno miriadi di cose: il costo delle materie prime e della manodopera, la strategia dei concorrenti, lo stato della domanda nel loro mercato, ecc. Tutto, tranne la massa monetaria. Peraltro, anche se questa fosse importante, loro non avrebbero modo di conoscerla, perché le statistiche vengono pubblicate con settimane di ritardo. Quindi, a meno di non avere, come il bancarellaro del mio incubo, la fortuna di essere amici di Mario (quel Mario, beninteso), non ci sarebbe proprio modo di fare il conto. Chiaro no? L’idea che la quantità di moneta in circolazione causi direttamente i prezzi è semplicemente assurda.
Gli economisti sanno che l’effetto della moneta sui prezzi non è diretto (secondo l’equazione: prezzo uguale moneta diviso beni), ma indiretto, cioè passa, guarda caso, per la solita legge della domanda e dell’offerta. Vi faccio un esempio banale. In questo momento molti di noi stanno stringendo i cordoni della borsa, rinunciando a spese che desidererebbero o dovrebbero fare, per una quantità di motivi, incluso il fatto che lo Stato sta riscuotendo nuove tasse. Se invece di finanziarsi sottraendoci liquidità con le tasse, lo Stato si finanziasse creando liquidità, molte delle spese cui stiamo rinunciando diventerebbero di nuovo possibili: invece di pagare la rata dell’Imu, compreremmo qualcosa. In questo modo la domanda di beni e servizi aumenterebbe. Certo, in linea di principio questo potrebbe generare una certa pressione sul livello dei prezzi (per la legge della domanda e dell’offerta). Attenzione: dico “potrebbe”! Perché nelle condizioni attuali, con risorse disoccupate, gente a spasso, fabbriche che chiudono, di effetti inflazionistici difficilmente ce ne sarebbero: siamo in condizioni di eccesso di offerta, capite? Le fabbriche chiudono perché non riescono a vendere, cioè perché non c’è abbastanza domanda. Quindi ora una maggiore creazione di moneta, oggi, non causerebbe inflazione. In condizioni più floride, sperando di tornarci, potrebbe invece farlo, ma in ogni caso l’effetto sarebbe indiretto, passerebbe cioè per la domanda di beni e servizi.