Dopo un mese (giorno più, giorno meno) penso di essere pronto a condividere tutto ciò che mi ha fatto provare il coraggioso sequel dei Santa Monica.
E sì, coraggioso, perché per quanto mi riguarda hanno intrapreso una strada non semplice rispetto a quella che probabilmente ci aspettavamo dopo questi anni 4 anni.
Tendo a farmi trascinare dall'emotività. Vedo qualsiasi forma di medium (dal letterario al videoludico) come un contenitore in cui porre frammenti della mia quotidianità che inevitabilmente vanno a intrecciarsi con l'opera che sto trattando in quel preciso istante, ergo l'opera stessa viene contaminata dai miei stati d'animo e dalle mie percezioni.
Ho voluto aspettare più di un mese per condividere i miei pensieri proprio per questo: per rendere il più naturale possibile quel contenitore che è Ragnarok, un contenitore scevro da influenze personali.
E che contenitore, ragazzi.
Il Ragnarok dei ragazzi di SM è un Ragnarok intimista, dove l'angosciosa fine di tutti i Mondi semplicemente passa in secondo piano per dare spazio a quei meravigliosi tasselli che compongono il rapporto padre-figlio. La fine c'è, è tangibile e la si percepisce in tutta la sua lunga durata, ma il modo in cui la fine di tutto viaggia in parallelo all'inizio e alla crescita del rapporto tra Atreus e Kratos è la dimostrazione che quando vi è una buona scrittura i videogiochi sanno fare e sanno dare tanto.
I primi sbalzi di adolescenza, la frustrazione del non saper come comunicare col proprio figlio, la seduzione dell'indipendenza e del distacco dalla propria casa, tutti elementi che tracciano un percorso iniziato col primo capitolo e che raggiunge uno dei picchi più alti di questo nostro amato medium. Kratos è, e qui lasciatemelo dire senza soggettività, il miglior personaggio mai creato in casa Sony. Kratos è e dovrà essere Playstation. Kratos è la dimostrazione di quanto la gestualità nella comunicazione sia importante, di quanto non sempre si necessita di comunicazione verbale per dare spessore a una personalità. Quel parallelo tra la forza possente di un corpo che ha sterminato un intero Pantheon e l'immagine di occhi rammaricati che provano soltanto a cercare l'approvazione del proprio figlio è un parallelo che rimarrà impareggiabile per molto, molto tempo. E per la prima volta, un videogioco è riuscito a cogliere l'essenza di un rapporto mano. Vero, complesso, senza aver paura di far "annoiare" il giocatore. Perché in fin dei conti il vero Ragnarok, la vera fine, è la paura di perdere definitivamente il proprio figlio.
Ammetto di essere rimasto spiazzato dall'ultima parte, sì. Una parte rushata, frettolosa, probabilmente figlia (scusando il gioco di parole) del desiderio degli sviluppatori dal volersi distaccare da un eventuale terzo capitolo. Ma va bene così, perché quei 3/4 di gioco rimangono talmente tanto impressi nell'immaginario individuale, che sarebbe un peccato inficiare la qualità generale del gioco soltanto per quei brevi, intensi momenti finali.
Ludicamente parlando nulla da dire, rasenta la perfezione. Artisticamente parlando altrettanto, nonostante mi sarebbe piaciuta una spinta artistica più decisa nel costruire alcuni mondi. E poi beh, che dire di McCreary, che è riuscito perfettamente ad accompagnare le emozioni provate soltanto con delle piccole note ben dosate.
Grazie Santa Monica, grazie Kratos.